Ne hanno fatta di strada i Trophy scars! Il loro è un percorso di mutamento ed evolutivo. Dal post-hardcore degli esordi sono giunti ad un rock meno spigoloso, ma ugualmente intenso e che tende all’epico con tratti psichedelici e più vicino al classic rock. Sarà poi che l’origine, il New Jersey, condivisa con un mostro sacro come Bruce Springsteen condiziona nell’utilizzo di certe sonorità che affondano le radici nel soul-r’n’b.
“Holy vacants” è un album molto complesso, probabilmente quello definitivo del gruppo e sicuramente il più complesso finora. Si tratta di un concept, influenzato dalla mitologia, dalle antiche religioni, dal mito dell’eterna giovinezza e dall’innocenza persa per sempre e dalla corruzione dell’anima.
Nei dodici brani convivono molti elementi musicali eccitanti, anche se il blues è lo scheletro di tutte le tracce. Dalle dodici battute il quartetto parte per inerpicarsi verso il punk australiano corrotto del primo Nick Cave e dei Beasts of Bourbon (“Qeres”), il sound del Boss della seconda metà degli anni ’70 (“Archangel”), fino alle svisate alla Jimi Hendrix (“Hagiophobia”). Nel gruppo permane anche il germe del punk, ascoltare la vorticosa “Vertigo”, che risente anche dei numerosi ascolti dei Mars Volta. Un disco da gustare e da ascoltare con calma numerose volte
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