Ne ha fatte/suonate di tutti i colori, prima il glam, poi il krautrock e ancora il metal estremo, una figura che in molti hanno detestato in maniera assoluta, ma lui, Tim Shoewalter, artista di Filadelfia in arte col nome della sua band per concerti Strand Of Oaks, se ne frega e va dritto per la sua strada musicale e Heal – quinto disco del moniker – vorrebbe essere il disco del rinascimento, il linguaggio di un uomo artista che cambia pelle e suoni e che vuole dimostrare d’essere altro.
Il tutto riesce e non riesce, dieci tracce dove la sua chitarra – un tempo arnese di guerra sonora – ora si fa lieve o qualche volta incazzata ma giusto poco, ora la sua sei corde prende quei sapori americani fatti di ballate, tastiere a ricamare arie e qualche cosetta di pop per addolcire oltremodo l’elettricità che tensiona agra sotto, ogni tanto riaffiora l’hard rock e pizzicori etnici, un mix che da una parte tira dall’altra esce come una passività d’ascolto che rende l’ascoltatore “decisamente indeciso”.
E’ un modo di reinterpretare la sua chitarra e di dargli nuove possibilità timbriche, cercando altri suoni e meno pestoni sulle pedaliere, una trasformazione – ripeto – che rimane a metà ma che comunque ascoltabile e piacevole se non si cercano miracoli o chissà che; un disco praticamente per fare i cavoli suoi e lontano dai clichè della sua immagine standard, un disco che apre le sue danze con un assolo fulminante di J.Mascis nella ballatona Goshen 94 , poi una piccola carrellata electro-pop Wait for love, Same emotion, il rock brusco di Mirage year e la solitudine amara di JM, dedicata a Jason Molina e poco più.
Sentimenti, sguardi intimi e insistenti assoli a catena non mancano, manca solamente quel focus generale per gridare alto in qualcosa. Ad ogni modo da ascoltare!
[embedvideo id=”exSbJDbzsak” website=”youtube”]

