2014 Autoproduzione
Diciamo tranquillamente che il concetto di sobrietà intima interpretato da Giacomo Giunchedi, in arte Cadori, è una chiave di lettura che più ricercata – nel senso stretto di tenerezza – non potrebbe apparire. Questa sua parsimoniosa volontà di delicato quasi “non apparire”, di questo esplicito poetame etereo e casalingo, il disco – omonimo – ne rappresenta un pò la radice quadrata di una tessitura che avanza all’udito come una, cento, mille sfumature looner, la progettualità di un cantautore odierno che preferisce gli angoli più che il centro delle storie.
Abruzzese ma di acquisizione bolognese, l’artista Cadori innesca una tracklist tutt’altro che marginale, quella – ora frugale ora ornata – sensorialità pop venata di acustiche, leggere interferenze elettroniche, arie leggere e calmi voli interiori, una scrittura che dispone l’orecchio dell’ascoltatore in un mid-chillout autorale particolarmente avvincente e dai passi educati, multistrato. Nove espressioni dilatate che nel giro stretto di un solo ascolto, s’impossessano dell’immaginazione disegnandoci sopra visioni e paesaggi piovosi in perenne stato tra solitudine e condense autunnali, tracce che “decantano” lo spirito e fanno pensare, riflettere e – perché no – “fabbricare” qualche luccicone negli occhi dove immergere ieri/oggi e storie mai colmate.
Con l’afflato dolceamaro di Drake Nuvole, Sinigallia La brutta musica, Zampaglione Cattivo film, il disco alterna luci intermittenti folkly Fuori cadono fulmini a dilatazioni volanti Tempeste di sale, mentre poi con la ballata in perfetto stile Ottantiano Le cose, la discreta e nel contempo profonda personalità dell’autore esce integra allo scoperto, quel tanto che basta e avanza per confermarlo tra i più validi “poeti urbani” della nuova scena alternativa cantautorale.
[embedvideo id=”cJK80bE7Ll8″ website=”youtube”]