Articolo di Marzia Picciano | Video e Foto di Andrea Ripamonti
Qualche settimana fa abbiamo fatto qualche chiacchiera con Daniel “Danny” Rocco aka Des Rocs prima della sua tappa conclusiva del tour europeo a Milano, lo scorso 29 gennaio – se ve lo siete persi e vi state chiedendo cosa esattamente vi siete persi, qui c’è il nostro report (spoiler: una bella scarica di energia). Des Rocs sarà anche “solo” al secondo album (Dream Machine) ma è uno che ha fatto di una vocazione una carriera serissima, iniziando a suonare con band che hanno condiviso i palchi con Weezer, Fall Out Boy e Panic! At The Disco e ha poi aperto Muse (e pure i Rolling Stones).
Puro newyorkese, italiano di quarta generazione se cosi si puó dire (lui dice che è qualcosa di “antico”, questo sangue, in lui), 35 anni passati nell’amore per il rock’n’roll e soprattutto per le giacche di pelle (scherziamo, soprattutto se si tratta di una divisa d’esercizio strutturato), ciuffo ribelle su sguardo pulito, pulitissimo (me ne andró dall’intervista non solo dimenticando il cappello ma anche commentando con un sopreso Andrea Ripamonti: peró, che pelle pulita!) e decisamente accattivante. Fresco come una rosa dei suoi dieci minuti di riposo (tra le poche ore di sonno di questa settimana, ma ne vale la pena, ci direbbe lui).
Guarda l’intervista a DES ROCS
Ha qualcosa delle glorie del passato Daniel, glielo leggi negli occhi. Del resto, manco a farlo apposta, lui lo sapeva da sempre che voleva fare la rock star, almeno da quando era piccolo, quando a scuola aveva disegnato lui in jeans e maglietta nera, un microfono, scrivendo solo “rock” come esaustivo titolo-indizio del quadro.
Che invidia, io col cavolo che sono diventata quello che disegnavo a undici anni (!). Ma è proprio quello che vedi in Des Rocs appena lo incontri: qualcuno che è diventato il proprio sogno di bambino facendo una cosa molto semplice e altrettanto incredibile. Ovvero, credendoci.
Di questo – e di cosa significa fare rock in un certo modo – ne abbiamo parlato proprio con lui nell’intervista video a seguire e ci spiattella lì senza troppi giri di parole che “Rock is all about individuality and it is the true expression of yourself”. Prendiamola come chiave di lettura del tutto.
Des Rocs ci dice un paio di cose importanti: la prima, che il rock è proprio un gran bel genere perchè è un pó di tutti.
Daniel è rimasto ossessionato fin dall’inizio, in the 8th grade (la nostra terza media) da questa grande, sonoricamente enorme, musica rock, che non devi sapere nessuna lingua in particolare per capirla, perche è, dice lui, internazionale, ed è questa per Des Rocs la cosa più figa, l’hook che l’ha attaccato a un sogno poi realizzano. “È davvero incredibile ora essere dall’altra parte, come un adulto e non più come un giovane ragazzo sognante, e poter fare questa musica in tutto il mondo”.
Seconda cosa che ci tiene a farci sapere. Il rock è un genere che è per me, te, inteso come soggetto che ascolta e interpreta. Des Rocs parla di tante situazioni, più o meno oscure, come dice lui, e a parte alcune che sono un pó più letterali alla fine possiamo tutti relazionarci a quei sentimenti. Vuole sapere lui a cosa pensa l’ascoltatore che ascolta Used To Darkness, a cosa sente di relazionarsi. Non fa politica nella sua musica (anche se gli artisti a cui viene spesso associato hanno una spiccata chiamata politica, vedete i Muse) e così deve essere quando sale sul palco. Poi per le opinioni, ne ha tante e su tutto…
Des Rocs disegna con la sua figura l’ideale di un artista che oggi c’è sempre meno, una sorta di Mad Max dedito ad un solo credo che sgomita in ogni pezzo e live per raggiungerlo come fonte nel deserto. Si chiami rock, rock’n’roll o anche Foo Fighters, che ancora rimangono tra gli artisti con cui vorrebbe lavorare. Vedere per credere.
Nota redazionale: la sottoscritta sorride un sacco, era troppo emozionata di essere salita per la prima volta su un bus per tour concerti.