Articolo di Serena Lotti | Foto di Roberto Finizio
Quante volte ci siamo sentiti dire “Se guardi sempre al passato non puoi andare avanti”.
Ci sono persone per cui questo assioma vale al contrario ovvero che solo guardando al passato si può andare avanti. Se si parla di musica poi questa quote diventa una sorta di commitmment a lungo termine. Tutte le band si sono ispirate ad altre band e a loro volta sono state di ispirazione per altre e via dicendo. Sarà sempre cosi. La musica è un intricato e complesso macrocosmo di arte in movimento e rinnovamento. Ma c’è anche il trend, la manovra di marketing, la segmentazione della target audience e via dicendo. Non è che si parla sempre e solo di poesia.
Quindi ecco spuntare nuove star icon addicted come Greta Van Fleet che fanno copy and paste dei Led Zeppelin, i Dangerkids che fanno un ottimo verso ai Linkin Park, gli Arcade Fire che rievocano i luccicanti fasti degli Abba e del maestro Giorgio Moroder e infine i The Struts che nascono dal glam rock degli anni 80, quello ereditato dai primi Queen, da David Bowie, dai The Sweet, gli Who, dai Mott The Hoople e dai T. Rex. Sono partiti da Derby ed hanno attirato non poca attenzione su di loro, soprattutto grazie alla carismatica e quantomeno ingombrante presenza del frontman del gruppo: Luke Spiller. Belloccio, vocalmente dotatissimo, arrogante e sfacciato, una propensione debordante verso l’eccesso e il paraculismo, mood da primadonna, movimenti così sinuosi che non si vedevano dai tempi di Heather Parisi ed un’autentica ed innata passione per il palcoscenico. Non ci dimentichiamo di dire che sembra un ibrido collage di Mick Jagger e dell’indimenticato Freddie Mercury con un spruzzo qua e là di Joe Leste. La natura ha modi bizzarri di ricordarci chi comanda.
Dopo aver fatto da support act di bands come Rolling Stones e Mötley Crüe e due album all’attivo Everybody Wants del 2014 e Young & Dangerous del 2018, hanno ufficialmente spaccato. Osannati dalla critica e amatissimi dai fan arrivano di nuovo a Milano per l’unica data italiana per il 2019 ed ultimo appuntamento del tour europeo. Però prima di giudicare la bontà dei The Struts bisogna toccare con mano.
Con un outfit curato nei minimi dettagli, grazie alla collaborazione di Ray Brown, che arriva dopo quella con Zanda Rhodes, Mr Spiller si catapulta su palco piroettando a mille come farebbe The Mask nella trasformazione da Stanley Ipkiss a mito. Da indiscussa primadonna arriva rigorosamente dopo la band, Adam Slack alla chitarra, Jed Elliot al basso e Gethin Davies alla batteria, ovviamente tutti in tuta di neoprene. Polvere di stelle, profumo di glam, l’aria si tinge di rosa. Luke Spiller è arrivato col suo carico di latex e lustrini, pantaloni bicolor in neoprene e con un make up a metà tra Gene Simmons e Amy Winehouse. E’ indiscutibilmente adorabile.
L’apertura è affidata a Primadonna Like Me giusto per chiarire un attimo chi comanda… “Don’t you know it’s all about me tonight?” se non avete capito. Il parterre è un’onda molleggiante di braccia alzate e di capelli che sbatacchiano qui e là e con i cori di Do-do you wanna be a primadonna like me tonight? che probabilmente si saranno sentiti fino a Pavia. I fan dei The Struts sono autentici adepti, ammettiamolo. Alla fine del concerto non ho visto una sola persona tenere un muscolo a riposo e probabilmente stamattina tutti avranno bisogno di un intervento di laringectomia.
Rasoiando pezzi che sono autentici uragani di rock’n roll luccicante, con uno Spiller che non smetterà mai di ammiccare, ballare e muoversi sinuoso facendo il verso a Mercury, consumando movimenti anca bacino e un Adam Slack che piazzerà sempre dentro il solo giusto, il riff più coerente, il passaggio indie più adatto, il live è un rollercoaster di passaggi sonori acchiappantissimi, ficcanti e adrenalinici, con ritornelli che potrebbe imparare anche un lattante in lallazione. Body Talks, In Love With a Camera, Dirty Sexy Money c’è un mondo di braccia in aria che si muove all’unisono con la voce di Luke su quel groove funky che fa subito connecting people.
Non possiamo fare a meno si restare catturati da quei fermi immagine sul viso di Spiller che come solo i teatranti più consumati sono capaci di fare, mantiene un’espressione così marcata da essere visibile fino ai banchi dei bar. Autentiche magnum che farebbero impallidire Derek Zoolendar e tutto il cucuzzaro. Siamo giunti tra roboanti piroette e cori da stadio sul medley dei loro pezzi più famosi, da Tatler Magazine a The Ol’ Switcheroo e Black Swan fino a Roll Up, brani freschi e frizzanti, subito elaborabili ed interiorizzabili, degni di un’ottima entertainemnt music con il pubblico che è definitivamente nelle mani di Spiller che guida le danze come un santone rockettaro con la sua comunità di fan asceti. Spiller è come un moderno Mosè che apre le acque del Fabrique di Milano, ma che al posto del bastone mostra la manica della giacca pipistrello coi lustrini, al posto dei figli di Israele liberi dalla schiavitù ci sono i milanesi liberi dalla cupezza umida di metà autunno. Spiller chiede, il pubblico esegue. Mani in alto, in basso, handclapping, destra, sinistra, la sing along tutti insieme. Insomma che sia un aggregatore, un frontman d’assalto, un catalizzatore, un dispensatore di energia allo stato puro lo abbiamo detto.
E la musica? Suonano i The Struts, bene, molto bene. La scrittura è efferverscente, ironica ma realistica, tangibile. Il sound è costruito interamente su strutture semplici ma al tempo stesso originali, il glam rock retrò si sente ovunque. Dentro, sopra e sotto, a destra e sinistra ma ha un tocco di innovazione e sapore agrodolce al tempo stesso mai sentito.
Il momento del cambio d’abito come nelle migliori storie delle primedonne dello spettacolo giunge senza sorprese e Adam Slack ci intrattiene con un solo guitar tanto bizzarro quanto inintelligibile. La seconda parte delllo show vede uno Spiller sempre a mille cavalcare come un’amazzone pezzoni quali Black Swan e Mary Go Round dove le luci si spengono e restano solo le luci degli smartphone ad illuminare la venue milanese con ovvi e programmati limoni spargliati un pò dappertutto.
Arriviamo sull’attesissima Dancing in the Street in cui un caleidoscoipo mondo di colori, chorus infiniti, momenti sweet and dirty prende forma, con uno Spiller mai pago dei suoi movimenti d’anca sempre che indica il pubblico in visibilio diventando un tutt’uno con esso. Raggiungiamo il massimo dell’engagement quando Spiller contrappone i lati della folla in una gara di applausi, tenendo il controllo di migliaia di persone con la sola mano all’altezza della vita, inclinandola delicatamente in un modo o nell’altro, in perfetto controllo della dinamica con il pubblico e con la sua band.
Andiamo in finale con Luke che più volte presidierà un pianoforte honky tonky accanto al montante della batteria ricordando spaventosamente il compianto Mercury sui brani di Somebody New e Ashes.
Il concerto è finito, tiriamo le somme. Indiscutibilmente a noi piace la musica più cupa, oscura e depressa e spesso fatichiamo a trovare la nostra comfort zone in live come quello dei The Struts dove la parola d’ordine è muovi il culo e balla, eppure l’abbiamo trovata, naturalmente e spontaneamente. E’ vero che i The Struts sono too much, sfiorano spesso l’eccesso trash e Spiller è in bilico tra l’essere un bravissimo animatore da villaggio turistico ad indiscussa star della musica che potrebbe restare anni nell’olimpo degli eletti, ma divertono, intrattengono da dio il pubblico e lo sanno fare concentrando una bomba di energia pura e deflagrante in 2 ore di showcase ad alto tasso di adrenalina e ironia.
Io ho visto piume di struzzo stasera tra il pubblico e magliette dei Motley Crue, ho visto ragazze in hot pants ascellari con giarrettiere di pelle e sopracciglia wavy brows, cinquantenni con filo di perle ed twinset pastello, ragazzini con t shirt di Sferaebbasta e mano nella mano del papà e gente in gessato e outfit urban appena usciti dall’ufficio. Tutti insieme per i The Struts, che riescono ad unire ponti generazionali ed abbattere le differenze. I The Struts che alla fine piacciono a tutti. I the Struts che restituiscono la supremazia della rockstar primadonna in glitter come non si vedeva da decenni. Musica terapeutica di facile ascolto, musica democratica, accessibile a tutti, comprensibile a tutti. Del resto Billy Idol diceva “Il rock non è arte, è il modo in cui parla la gente normale.” Credo che i The Struts questo lo sappiano molto bene.
Clicca qui per vedere le foto dei The Struts in concerto a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)
THE STRUTS – La setlist del concerto di Milano
Primadonna Like Me
Body Talks
In Love With a Camera
Dirty Sexy Money
Tatler Magazine / The Ol’ Switcheroo / Black Swan / Roll Up
Black Swan
Mary Go Round
Dancing in the Street (Martha Reeves and the Vandellas cover)
Same Jeans (The View cover)
Fire (Part 1)
Encore:
Somebody New
Ashes (Part 2)
Could Have Been Me
Mariella Monti
31/10/2019 at 23:54
Sono una cinquantenne che ascolta musica rock punk metal da quando ne aveva 13 Sono stata a vedere pochi concerti nella mia vita,quest’anno ho battuto il mio record,sono stata a 4 🙂
Ero al Fabrique al concerto dei The Struts ,mi sono piaciuti tantissimo!!!
Ma quello che volevo dire è che a 50 anni non si è vecchi…ho lavorato fino alle 18:30 e poi il concerto
Lo scorso anno a Firenze per i Guns n’roses ,dopo il concerto in giro per la città aspettando di prendere il treno delle 6:00 del mattino
Non ero al Fabrique con la collana di perle e il twin set pastello,ho cantato e saltato come tutti i giovani che erano lì e la mattina dopo ero già al lavoro alle 7:00…
La musica in generale e quella rock in particolare ti dà un’adrenalina tale da non sentire il passare degli anni e andare ai concerti è bellissimo,quando si è lì si è felici 🙂 🙂 🙂
La musica non ha età
Serena Lotti
01/11/2019 at 19:36
Ciao Mariella, grazie per aver condiviso con noi il t uno punto di vista. Permettimi di dirti che forse hai frainteso le mie parole. Chiudo l’articolo difendono che al live erano presenti persone molto diverse tra loro, dagli adolescenti alle persone più mature con stili ed outfit molto diversi tra loro segno che i The Struts sono stati capaci con la loro proposta musicale di unire più generazioni e gusti diversi. Non mi sognerei mai di pensare che a 50 anni si è vecchi o peggio ancora lo si è con la musica. Forse rileggendolo ti troverai in accordo con me. Un abbraccio e per sempre rock and roll . Serena