Articolo di Serena Lotti | Foto di Andrea Ripamonti
Il 2024 non è ancora arrivato a metà del suo ciclo temporale eppure qualcosa ci dice che la collaborazione più attesa e seducente del 2024 sarà stata quella tra le due leggende di Manchester che hanno lavorato insieme a “Liam Gallagher John Squire” uscito il 1 marzo scorso per Warner Music. Una partnership tra l’ex leader degli Oasis e il chitarrista degli Stone Roses, altra band da novanta, tra le maggiori esponenti della scena musicale baggy. Già dai singoli di debutto, “Just Another Rainbow” e “Mars To Liverpool” i due hanno espresso una chiara e netta dichiarazione di intenti: mantenere altissimo lo spirito del rock classico celebrando il suono dei primi anni ’90 con un mordente tutto personale, ovvero la cazzimm’ di Gallagher e l’artigianalità di Squire.
Risultato? I due rocker inglesi hanno scalato le classifiche raggiungendo il 16esimo posto nella topchart dei singoli in UK e il primo posto nelle classifiche delle vendite, dei download, dei vinili e dei singoli fisici. Alla domanda possono esistere matrimoni felici, la risposta è si soprattutto per lo statement netto di chi si è appena messo l’anello al dito, all’anagrafe William John Paul Gallagher “Il nostro sarà l’album migliore dai tempi di Revolver dei Beatles”. Come al solito, la tocca piano.
Date le premesse raggiungiamo il Fabrique di Milano con aspettative più che alte, praticamente toccano la mesosfera, sfarfallano vibrando gioia sapendo che non resteranno deluse. In apertura il giovane Jake Bugg. Voce-chitarra e tanto, tantissimo indie folk. Romantico, dolcissimo, virtuoso.
Liam Gallagher e John Squire salgono sul palco alle 21.00 circa, il parterre non è che una massa informe e sudata sulla quale svettano alcuni bambini e vari cartelloni colorati più adatti, forse, ad un un concerto di Nek. Ma si sa, la vita di un fan è durissima, anche un posterone in A0 handwritten con cuoricioni e stelline riceve il permesso di stare in questo ecosistema di gioia e letizia. E poi fa molto anni 90, è innegabile.
Facendo seguito alla cara vecchia regola aristotelica che defisce azione, luogo e tempo e che ci farà da storytelling, ci manca proprio la prima da definire. Cosa ha fatto fino alle 22.00 la Premiata Ditta Gallagher & Squire? Semplicemente hanno suonato drittissimi tutte le canzoni del loro omonimo album di debutto. Niente di più, niente di meno. Quella sparuta rappresentanza di fan che ha sperato di ascoltare i brani preferiti degli Oasis o degli Stone Roses e non si è fatto un giro su setlist.com prima del live, è rimasta con molta probabilità enormemente delusa. Così è (se vi pare).
Per tutti gli altri via con il nulla osta, il pubblico non se ne preoccupa affatto anzi, gole infuocate, fomento in tutte le aeree e labiali perfetti fanno intendere che il pubblico del Fabrique questo disco se lo è letteralmente magnato. Non bene, direi benissimo.
Ma stiamo ancora sull’unità di azione che secondo Aristotele doveva comprendere un’unica azione, con l’esclusione di trame secondarie. Chi le ha viste le narrative di appendice alzi la mano. Liam Gallagher ha fatto Liam Gallagher degli Oasis ma senza che gli Oasis pervenissero se non nelle suggestioni e non negli intendimenti, John Squire ha fatto John Squire degli Stone Roses sì, ma totalmente immerso nello storytelling del qui e ora.
Tanti i sottotesti è inevitabile, due leggende non possono smettere di essere tali e diventare qualcos’altro dall’oggi al domani. Ci si può reinventare ma non si smette di essere ciò che si è sempre stati. Chi sono e cosa hanno rappresentato per la musica dal 90 in poi se lo portano sulle spalle, ed è grande quanto un condominio, ma lontani dal passatismo e dai fasti delle rispettive band hanno promosso la formula artistica che stanno interpretando nel 2024.
Inutile dire che tutto il pubblico non fa che osannare Liam continuamente (trucidi e insopportabili come da previsione i cori da stadio LIAM-LIAM -LIAM) e lui da gran signore scrolla le spalle, scuote la testa come a dire “Non sta bene, non si fa”. Lui il frontman più individualista ed egoriferito degli ultimi 30 anni che si fa da parte, lui con il suo immancabile parka e le maracas, che abbandona i riflettori per lasciare che sia John ad essere al centro e che faccia piangere la sua Stratocaster per un pubblico adorante e in visibilio. Saranno diverse e lunghissime le jam strumentali psichedeliche di Squire, con assoli caldissimi e virtuosi vicinissimi alle lezioni immortali di Jimmy Page e Jimi Hendrix.
Allineati in un perfetto biostistema artistico che raggiunge il nirvana con Barrie Cadogan al basso (ex Primal Scream), Joey Waronker alla batteria (che ha suonato nel disco di Gallagher e Squire) e Chris Madden alla tastiere (nella band di Gallagher), i Gallagher-Squire partono con Just Another Rainbow, che ha il sapore dolce di Rain dei Beatles e quello aspro delle scudiciate alla Hendrix, del resto da John non ci si poteva aspettare niente di meno. La chitarra parla un rock classico ma al tempo stesso totalmente reinventato ringraziamo di poter assistere a queste incursioni magistrali del chitarrista degli Stone Roses.
Si passa senza soluzione di continuità da pezzoni rock blues in stile Led Zeppelin (la meravigliosa I’m A Wheel naviga nelle acque basse e sporche del blues che non è certamente la comfort zone di Liam: ma accetta la sfida dimostrando credibilità e consapevolezza. Lui stesso dirà «Non credevo che avrei mai cantato il blues, cazzo!»), fino a pezzi più nella tradizione dell’ex leader degli Oasis come la beatlesiana I’m So Bored o Raise Your Hands che urla britpop e anni 90.
La cover di chiusura ci attizza non poco, una versione incendiaria di Jumpin’ Jack Flash dei Rolling Stones (tributo al blues o che?) con un’esibizione canora praticamente perfetta di Gallagher, al punto che ci domandiamo perchè solo una cover. Quanti di voi (come me) speravano di ascoltare la doppia cover I Am the Walrus?
Niente da fare, Not today.
Il concerto è finito ed è stato certamente elettrizzante ma breve, brevissimo: un set che avrebbe bisogno di maggior struttura forse. Ma chi può dire che queste non siano solo prove generali in preparazione di qualcosa di più grande? Forse il futuro vedrà la luce di un nuovo disco dei due? Volesse o’ cielo. Intanto godiamoci questo.
Gallagher e Squire hanno onorato le rispettive eredità questa sera anche alla luce di quella che oggi è la loro storia e la potenza di queste nuove canzoni che sono già patrimonio (Mars to Liverpool e You‘re Not The Only One ·tra tutte supereranno la prova del tempo); il loro fascino irresistibile e l’engagement di un pubblico adorante lo hanno dimostrato.
Dunque la prima esibizione dal vivo di Liam Gallagher e John Squire traccia il percorso verso un fecondo futuro insieme, impartendoci lezioni di vita che vanno oltre la musica. Due leggende che si sono divise il palco con un rispetto e una coesione bellissima. A noi ex fan degli Oasis e della insult comedy, vedere Liam in stato di grazia con un altro leader sul palco ci fa non strano, bensì stranissimo.
Abbiamo citato Aristotele. Beh torniamo su di lui, nella Poetica aveva affermato che “La favola deve essere compiuta e perfetta“. Mi sveglio stamattina con un messaggio di un’amica, con me ieri sera “Che benessere che lascia Liam. Good vibes e gioia”. Liam aveva detto parlando di questo disco “Vogliamo ispirare le persone e renderle felici”. Beh ci sei riuscito, se Aristotele fosse qui ti direbbe che ieri sera avete fatto una hýpsos (ndr una cosa sublime), con buona pace di chi ti dice che sei un hooligan col microfono e uno stronzo arrogante.
Clicca qui per vedere le foto di Liam Gallagher & John Squire in concerto a Milano o sfoglia la gallery qui sotto.
LIAM GALLAGHER & JOHN SQUIRE la scaletta del concerto al Fabrique di Milano
Just Another Rainbow
One Day at a Time
I’m a Wheel
Love You Forever
Make It Up as You Go Along
You’re Not the Only One
I’m So Bored
Mars to Liverpool
Mother Nature’s Song
Raise Your Hands
Encore:
Jumpin’ Jack Flash (The Rolling Stones cover)