Reportage Live

WENA & THE SOULDIERS a Milano: quel dannato soul che crea dipendenza

Articolo di Serena Lotti | Foto di Lara Bordoni

Cantare il blues significa cantare la vita” diceva la compianta Etta James. A vivere la vita ci proviamo tutti, con risultati più o meno felici, ma a cantarla è dura. A quel punto meglio fermarsi e mettere un disco blues. Con una voce femminile. Una voce graffiante, calda, vibrante. Oggi la mia scelta è A Part of Me, il primo album di Wena, una delle artiste italiane più rappresentative della scena soul, co-prodotto con la Blood and Soul e pubblicato nel 2014. E visto che per la Milano Music Week Wena ha segnato una data al Biko noi siamo corsi ad ascoltarcelo da vivo.
Se non conoscete Wena, rimediate. E fatelo presto. Wena è un emozionante esempio di talento esplosivo, consapevolezza artistica, presenza scenica con una voce dannatamente black, profonda e morbidissima.
Ciò che rende autenticamente acchiappante quest’artista non è solo la sua stupenda voce nera e vellutata o la capacità di respirare e decodificare le note blue mentre canta, ma anche il talento raro di attraversare con vigore la black music, ammorbirne le note e nel contempo facendole stridere con eleganza e sensualità.

Wena, da sempre ispirata dalla scena Motown, ha da sempre ascoltato musicisti come Aretha Franklin, Otis Redding ed Etta James iniziando le sue prime collaborazioni con artisti della scena underground italiana quali Torreggae, Sativa Dub Station, Hermano Loco, Funky Pushertz, Oluwong, Clementino, Sangue Mostro , Nto’ ( Stirp9 ) e DopeOne. Il suo esordio discografico avviene nel 2010 con Digitup, riddim dei Torreggae stampato su 12″, col il brano So Real e nel 2012 viene contattata da Ghemon che la invita sul palcoscenico per accompagnarlo nei suoi live. Nel 2013 co-produce con l’etichetta Blood and Soul il suo album d’esordio con la sua band The Souldiers. Insomma Wena ne ha fatta di strada e ne vuole fare ancora tantissima.

A mezzanotte il Biko è caldo e umido, Wena è pronta a salire sul palco. Ad aprire il concerto di Wena and The Souldiers la cantautrice soul brindisina Alea insieme al suo trio, i The Sit, con i brani del suo ultimo disco Generation. Dopo Alea l’esercito dei soldati del soul prende posizione (Luciano Lucky Pesce, tastiere, Riccardo Bruno, batteria, Luca Bolo Bologna, basso, Francesco Big man Cirillo, sax, Tiziano Codoro, tromba, Alessia Marcandalli, Alea e Emma Elle, cori), lei arriva avvolta in una gonna di tulle bianco effetto abito da sposa che lascia intravedere un body nero, calze velatissime, scarpe col tacco. Wena sorride, con quel sorriso contagioso e irriverente che la fa diventare subito amica di tutti. Wena in questo live racconterà se stessa e il suo viscerale amore per la musica attraverso i brani di A part Of Me, muovendosi dentro dimensioni sonore avvolgenti, calde, sinuose ma nel contempo sporche di un groove trascinante e spumeggiante.

Capisci subito che Wena è più donne insieme, lo capisci da quel modo plurale e versatile di cantare, di calarsi dentro gli anfratti remoti del blues e riemergerne purificata e quella necessità di contrarre tutti i muscoli lasciandoli infine ammorbidirsi in un afflato liberatorio finale, appassionato e catartico. Lei è la singer che ti strappa l’anima, che ti punta quei suoi occhi nocciola dentro i tuoi e ti afferra, ti tiene stretta contro il suo petto, mentre ti fa muovere dentro un crescendo dinamico di morbidezza melodica e di ruvidezza soul e poi ti lascia andare chiedendoti di ballare al ritmo dell’R & B più sporco e ballate pop soul, sì quelle degli anni ’60, quelle degli archi classiconi, dei fiati sognanti e delle sezioni ritmiche vorticose. Wena ci racconta le sue storie, che sono poi le storie di tutti noi, quelle di una ragazza (il pezzo del prossimo album di Wena che ascolteremo in anteprima, Wandering soul) che perde tempo a fare cose di cui “a lei non frega un cazzo”, cioè studiare sociologia con il desiderio fortissimo di rincorrere il suo sogno. Quel sogno realizzato che si esemplifica nell’abito da sposa di cui Wena ci racconta “Oggi mi sposo con il mio sogno, dovreste farlo anche voi e non smettere mai di credere in voi stessi”. Muove sinuosamente l’abito frusciante, lo spacco vertiginoso mostra un corpo languido, sinuoso, un corpo che è spartito, tavolozza, foglio bianco…quello su cui lei costruisce scale, note, strofe, pause, riff e ci restituisce tutto con la bocca, con i capelli che si aggrovigliano sul collo, con le mani, coi fianchi in un tutt’uno che è musica e materia insieme. I giri di basso sono ficcanti e vellutanti e si addentrano in assoli infiniti mente il brano si chiude in un tripudio di sonorità funky con un sax in stato di grazia. Wena si racconta ancora con Tomorrow, una storia vecchia come il mondo che ha portato tutte le donne della nostra generazione a sessioni sfiancanti dallo psicologo e workshop al cioccolato sul divano di casa. Lei tormentata da un amore non corrisposto, lui che si fa i “cazzi suoi” e lei che scrive una canzone. Wena balla sulle note sensuali e liquide mentre le coriste, il contraltare di Wena, la seguono e ci incalzano, ci invitano a ballare e a scacciare l’incubo di un uomo che non ti caga. Non vogliamo altro che stringerci tra noi, ballando, ridendo e dimenticando gli stronzi. Wena ci trascina in un vortice ipnotico caratterizzato da vocalizzi estatici e movenze da autentica diva e nel farlo sorride e ride, non si prende sul serio perchè in fondo, in una storia d’amore finita male c’è sempre il riscatto prima o poi e lei, con noi, vuole riderci su.

La sensualità e l’ironia di Wena torna ancora su Live well e Some snapshot, brani dove le chitarre riappaiono soffici e viscose per poi farsi ostiche, distorte ed acide: siamo nei territori della contaminazione e del crossover stilistico ed esistenziale di Wena mentre i brani si trasformano da una forma all’altra, da una struttura all’altra, dalle sonorità blues del delta, al soul, al funk, e tutto si fonde in uno stile ricercato e originale, dallo stile sofisticato e dannatamente coinvolgente.
Wena continua il suo viaggio e ci trasporta indietro, verso sonorità multiformi e poliedriche che spaziano dal rockabilly al potente rhythm’n’blues, dal black al soul, dal funk, al jazz accompagnandoci in un range musicale e culturale che parte dagli anni ’30 e punta al futuro, con la versione drammatica di I love you more di Donny Hataway, con la notturna A place e l’incendiaria e travolgente How came you don’t call me anymore di Prince. Gli amici di Wena non smettono di arrivare, sale sul palco Naima dei Black Beat Movement per una versione infiammata di Everything ed è un tripudio di groove e soul, di frestyle e raggae e sangue e non facciamo che ballare e molleggiarci dentro questo trip psych finchè le rotule resistono stoicamente. Wena è una straodinaria performer, che si piega su se stessa per catturare fino in fondo l’ultima nota e regalarcela con generosità, auspicando e invocando la partecipazione collettiva facendosi nel contempo vigorosa, granitica nell’invito.
Tutte le linee di apertura dei pezzi di Wena arrivano come una brezza che ti accarezza il collo, sono ariose e leggere e mano a mano si fanno dense, corpose, si tramutano in strutture robuste che vengono mandate indietro con brani eseguiti senza peso, con voci e fiati sinuosi e ingredienti retrò.

Usciamo dal Biko ed è notte fonda. Ci accalchiamo tutti sotto il piccolo cortile del circolo a fumare, bere e prendere aria. Wena arriva dopo pochi minuti, abbraccia i suoi soldati del soul, li ringrazia, avvicina gli amici e tutti quelli che erano lì per lei. Sorride a tutti, dismette i panni da diva e si mette quelli della ragazza che potresti incontrare all’uscita di una biblioteca. Ci dice con straziante sincerità che vuole andare a dormire mentre la immagino tra due ore intonare prepotentemente un pezzo del delta soffiando dentro le alte sfere del roots blues, del gospel, del ragtime, mentre si addormenta stanca.

Sono tornata a casa sotto una pioggia battente avvertendo un senso di smarrimento lieve ma costante, una sorta di spleen avviluppante. Mi sono messa a letto e ho fatto partire un brano di Billie Holiday. Mi sono sentita subito meglio. I miei neurotrasmettitori sono tornati a livelli normali. E’ proprio vero, quel dannato soul crea dipendenza.

Clicca qui per vedere le foto di WENA & THE SOULDIERS in concerto a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)

WENA & THE SOULDIERS: la setlist del concerto di Milano

Live well
Some snapshot
Wandering soul
Mama
A place
I love you more (Donny Hataway)
Everything
Travel
Tomorrow
How came you don’t call me anymore (Prince)
My time

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