Articolo di Serena Lotti | Foto di Andrea Ripamonti
Al via “THE SAVIORS EU/UK TOUR” della band americana dei Green Day per la celebrazione dei due album monumento “America Idiot” e “Dookie”: per l’unica data italiana hanno scelto di dare fuoco al palco degli I-Days di Milano. I concerti di questa lunga tournée in totale saranno 56, di cui 17 in Europa. Le cose fatte in grande insomma. A Milano va così in scena il più imponente concerto europeo della band diversamente dall’ultima volta in cui, sempre a Milano, avevano tenuto un live per il loro ultimo album Saviors ai Magazzini Generali, per pochi anzi pochissimi fan.
Per la data milanese presso l’Ippodromo SNAI La Maura di Milano, 80mila persone si sono fatte letteralmente scaraventare in faccia 36 brani culto a base di nitroglicerina, progressismo e nostalgia (tratti come dicevamo prima per lo più da American idiot e dal seminale Dookie). Due ore di lucido e potente rock ‘n’ roll from Bay Area che dal 1989 è ancora capacissimo più che mai di fare tremare uno spazio immenso come l’Ippodromo di Milano, per la prima volta nella storia libero da zanzare grosse come galline grazie alle nuove temperature finlandesi percepite in Lombardia. Ma non certo per questo il live è stato meno urticante.
NOTHING BUT THIEVES
In apertura gli inglesi Nothing But Thieves che, decisamente consacrati a palchi importanti (ritornano agli I-Days dopo avere aperto lo scorso anno i live dei Black Keys e di Liam Gallagher), danno eccellente prova della loro bravura trasportandoci con grande leggerezza tra i mondi distopici dell’alt rock fino alle periferie colorate del groove più allegro e fresco che, del resto, sanno interpretare egregiamente e con grande credibilità, merito anche di un fantastico Conor Mason in assoluta grazia performativa.
Bellissime e super catchy le versioni di Amsterdam, Welcome to the DCC, Is Everybody Going Crazy e l’immancabile versione di Where is My Mind? che li ha ribattezzati simpaticamente Nothing But Pixies.
GREEN DAY
Alle 21.00 l’aria si fa elettrica. Il pit si trasforma in una massa informe e pulsante di gente, ci appoggiamo gli uni sugli altri, c’è gentilezza e bellezza intorno, c’è famiglia, ci sono vibes potenti. Il palco è quello delle megaproduzioni e lo show è quello dei meganumeri, l’impianto scenico si trasformerà in diversi set da Dookie, ad American idiot senza lesinare in termini di botti, deflagrazioni, fiammate, visual lisergici e giochi di luci estremi.
Il pubblico è transgenerazionale, un mix eterogeneo di membri della generazione X che hanno assistito all’ascesa dei Green Day da punker in erba a superstar dell’era Dookie e millennial post-American Idiot oltre a un sacco di ragazzini e bambini figli di gente che ai tempi di Nimrod guardava MTV e usciva con felpe di 4 taglie più grandi.
Perfetti interpreti di un punk faceto e cazzone, nonostante la monumentalità di questo mega live da arena, Billie Joe e soci ci hanno buttato addosso, con grandissima ironia e consapevolezza, tutta la loro storia di punkers incazzati ma col sorriso senza soluzione di continuità, con non-intervalli che sono fiammate, botti, deflagrazioni e irresistibili tamarrate.
Reduci dal quattordicesimo album in studio, chi pensava che ormai i Green Day fossero ormai una band legacy si sbagliava e questo live ne è stata la dimostrazione nonostante il carico di malinconia che si portava dietro come un macigno. Insomma dopo Saviors del 2024, i Green Day sono più vivi ed esplosivi che mai.
Inutile raccontare dei movimenti tellurici sotto i nostri piedi all’attacco di Basket Case, autentico inno generazionale capace di trasportarci direttamente dentro alla nostra cameretta incasinata e puzzolente mentre guardiamo nel Mivar 14″ una puntata di TLR di MTV (chi c’era sa). E vogliamo dire delle strabilianti versioni di Welcome to Paradise, della morbidissima She e dell’epica When I Come Around capaci di accendere ripetuti psicodrammi nelle nostra fragile psiche?
E se mai ci fosse stato bisogno di un deus ex machina a risolvere un caos che è stato la perfetta colonna sonora della nostra adolescenza disagiata, eccola arrivare impetuosa come la frusta di un domatore , la versione-granata di American Idiot che scatena drappelli di poghi qua e là e che ci fa più bene di una sessione dallo psicoterapeuta.
Billie Joe è in stato di grazia, domina letteralemente il pubblico, e lì in quella folla adorante e devota cerca il quarto ideale elemento. Dai ripetuti baci alla folla, “I Love you, thank you”, a “Mailano ti amo“, alle continue richieste di coretti armonizzati da stadio (unica red flag concedetemelo) Billie Joe è un menestrello del punk, è uno che il pubblico lo tiene per le palle e con quelle palle ne fa coriandoli di zucchero che getta nel parterre. Divertentissima la versione a più capitoli di Hichin’ a Ride e le immancabili ballad piagnone di Wake me up When September Ends e Good Riddance in chiusura che ci fanno l’ennesimo e necessario back in the days.
I Green Day ci hanno dimostrato di essere ancora una volta i salvatori del pop-punk politico; sono ancora i rappresentanti di un underground democratico e inclusivo, mai vinti di fronte ad un mondo in frantumi ma al contrario sempre pronti a combattere, nonostante facciano parte anche loro di un mondo mainstrem musicale a circuito chiuso.
Strumenti alla mano, uniti contro una mediocrità che si smantella a colpi di sarcasmo, testi dissacranti e punk al tritolo. I Green Day sono quelli di sempre, suonano come i nostri dischi consumati, e sono finalmente privi della lettera scarlatta sul chiodo perchè colpevoli negli anni ’90 di aver portato il punk ad una dimensione mainstream e commerciale svilendone (secondo i puristi) l’intrinseco compito politico e sociale. In realtà, ieri come oggi, non hanno fatto altro che elevare quel messaggio di protesta, grondante di rivoluzione e baldoria insieme. E nel 2024 sono più credibili che mai anche quando Trè Cool sale sul palco ammiccando in vestaglia animalier.
I Green Day la politica non se la sono scordata affatto. E come atto di rivoluzione culturale resta lì attaccata come muschio ai loro strumenti e alla loro pellaccia da punkettoni sporchi e rozzi. E stasera, godendo di un live robustissimo, efficace e ben collaudato, abbiamo dato adito a tutta questa gioviale rivoluzione, celebrando il non-disimpegno irreverente di quel pop-punk fatto di chitarre tutto cuore e sangue, portando a feticcio disagi, frustrazioni, atti politici, ingiustizia e ironia. Ma in realtà tutto è un’esortazione al contrario, ovvero godersi la vita.
E poi ho visto fuochi d’artificio illuminare il cielo di Milano. Ho visto volare l’aereo di Dookie, proprio sulla mia testa. E poi ho visto un pugno gigante stringere il cuore bomba a mano. Poi ho letto “No war” e una bandiera della Palestina sulle spalle di Billie Joe. E’ come stare sulla Luna stasera. E’ un altro Armstrong che ci porta lì. Come è che diceva Pablo Neruda? Se è un sogno non svegliatemi. E allora WAKE ME UP WHEN GREEN DAY ENDS.
Clicca qui per guardare le foto del concerto dei GREEN DAY agli I-DAYS di Milano (o sfoglia la gallery qui sotto)
GREEN DAY – la scaletta del concerto di Milano
The American Dream Is Killing Me
Dookie
Burnout
Having a Blast
Chump
Longview
Welcome to Paradise
Pulling Teeth
Basket Case
She
Sassafras Roots
When I Come Around
Coming Clean
Emenius Sleepus
In the End
F.O.D.
All by Myself (Orchestral version)
Know Your Enemy (with fan on stage)
Look Ma, No Brains!
One Eyed Bastard
Hitchin’ a Ride
Dilemma
Brain Stew (with Black Sabbath’s “Iron Man” snippet)
American Idiot
American Idiot
Jesus of Suburbia
Holiday
Boulevard of Broken Dreams
Are We the Waiting
St. Jimmy
Give Me Novacaine
She’s a Rebel
Extraordinary Girl
Letterbomb
Wake Me Up When September Ends (with David Bowie’s “Ziggy Stardust” snippet)
Homecoming
Whatsername
Good Riddance (Time of Your Life)