Foto di Andrea Ripamonti | Articolo di Giulio Taminelli
La serata conclusiva del Bergamo Nxt Station Festival, manifestazione che da mesi porta sul palco di Piazzale degli Alpini ospiti di livello nazionale e internazionale, vede come protagonista Manu Chao, il “nomade musicista” che, per questa data, raggiunge il sold out in meno di sette ore.
Partiamo da un presupposto. Questa sera il piazzale è pieno come un uovo. D’altra parte c’era da aspettarselo, dato il sold out praticamente istantaneo e la possibilità – più unica che rara per un concerto – di cenare in loco con piatti ben più appetitosi del classico panino.
La prima cosa che noto aggirandomi tra la folla è la grande presenza di hispanohablantes tra il pubblico, prima avvisaglia (ma ovviamente non ultima) di una serata all’insegna della pluralità culturale e linguistica.
D’altronde è impossibile slegare Manu Chao dal contesto sociale di cui esso parla e scrive, al punto che la stessa esistenza del concerto è bastata per creare dibattito politico nelle “camere del potere” del capoluogo Orobico. Lungi da me commentare la vicenda, ma credo che questo dia la misura di quanto per la Bergamasca sia importante e sentito un simile avvenimento.
L’ingresso sul palco, avvenuto con una quindicina di minuti di ritardo ma senza lamentele da parte dei presenti, è stato tanto semplice quanto carico di emozioni.
Nonostante l’esibizione totalmente in acustico, le note calde della chitarra di José Manuel Arturo Tomás Chao Ortega, questo il suo nome all’anagrafe, unita ad una percussione semplice quanto tribale, creano l’atmosfera adatta per smuovere il pubblico (una buona occasione anche per scaldarsi, dato il vento freddo proveniente dalle vicine orobie).
Dal punto di vista esecutivo, tutto ciò che sul palco è in grado di emettere musica viene usato sia dal lato melodico, sia da quello ritmico, trasformando la chitarra di Manu e quelli che credo fossero un guitalele e un tam tam in vettori musicali a tutto tondo (purtroppo la mia posizione in questo concerto non era ottimale per distinguere gli strumenti suonati dai musicisti, per mia sfortuna seduti su degli sgabelli e quindi con gli strumenti più bassi rispetto alla mia visuale).
I continui rimandi al pubblico, come a volerlo invitare in una danza dai toni mediterranei tanto indistinguibili a livello di nazionalità quanto familiari per anima e ritmica, denotanouna gran voglia di divertire e intrattenere, mentre sul palco vengono snocciolati in rapida successione capolavori come Todo Llegará, la stupenda Me Llaman Calle e Me Quedo Contigo.
A livello strutturale, il concerto si baserà quasi totalmente su di un’unica, grande, meravigliosa base strumentale dai tratti latini, con riprese dei finali per fomentare la folla e spingerla a cantare, compito facilissimo data la passione e il numero dei fan presenti. Ciò che davvero crea il miracolo musicale sono le centinaia di piccole sfumature che portano le orecchie dei presenti dal Sud America all’Africa, passando per Portogallo, Spagna, Francia e Italia. Centinaia di micro sonoritá che raccontano la natura di viaggiatore di Manu Chao e la sua storia come figlio di immigrati in contatto con le mille realtà della multietnica Parigi, per poi diventare musicista nei Mano Negra e solista dopo aver viaggiato in solitaria nel il mondo.
Tutto sommato, pensando al viaggio del Pinocchio Collodiano in cerca della propria umanità, vien naturale comprendere le ragioni che hanno portato Manu Chau a ad inserire proprio un versione di Pinocchio: Viaggio in Groppa al Tonno in scaletta (e con una discreta insistenza, data la quantità di volte in cui ne ha reiterato il motivetto principale)
Parlando appunto della scaletta, la selezione della serata comprenderà la quasi totalità dell’album Clandestino, com’era prevedibile dato il successo che ebbe a suo tempo, ma verrà lasciato spazio anche a qualche pezzo tratto da classici intramontabili come Próxima estación: Esperanza e La Radiolina.
Ovviamente, l’ordine delle tracce scelte andrà a descrivere una sorta di climax ascendente, in modo da fomentare il pubblico ed accompagnarlo verso i pezzi di maggior successo, tra cui ovviamente Bongo Bong / Je ne t’aime plus, celebre anche nel mondo anglofono grazie alla fantastica cover di Robbie Williams.
In un crescendo di urla ed emozioni, si arriva finalmente a Clandestino, forse la traccia che più di tutte ha contribuito al successo mondiale di Manu Chao e che porta il pubblico verso un lunghissimo finale fatto di classici ed impostato in maniera splendidamente caotica e incalzante.
Potrei dilungarmi ancora per pagine e pagine descrivendo sensazioni e pensieri su un simile concerto, ma credo sia inutile cercare piccoli dettagli in uno show di oltre trenta brani il cui messaggio era sostanzialmente uno: libertà, divertimento, ribellione e amore per ogni uomo, senza frontiere o barriere di nessun tipo.
Durante tutta l’esibizione, Manu Chao non ha fatto altro che invitare il pubblico a ballare, ad amare e a sperare in un futuro senza divisioni di sorta. Un unico grande grido alla pace universale composto da voci, danze, ritmo e musica che ti prende sin nel midollo portandoti a ballare e a cantare sino al più grande dei traguardi: cominciare a crederci.
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