Reportage Live

Graspop 2024 – Day 3: il metal d’avanguardia del folle Mike Patton ci conduce ai BMTH, strabilianti leader del metal moderno, protagonisti del terzo giorno del GMM24

Articolo di Jennifer Carminati

Finora gli headliner del GMM24 sono stati: Alice Cooper, Tool, Judas Priest e Five Finger Death Punch. Oggi sabato 22 giugno è il turno di altri due titani come Bring Me the Horizon e Avenged Sevenfold.

Altro giro, altra corsa, altro regalo dicevano alle giostre quando eravamo piccoli, ricordate? Ecco, in questi giorni di Festival a me sembra proprio di essere continuamente su un ottovolante di emozioni. Oggi si preannuncia un’altra giornata spettacolare, per cui, bando alla stanchezza e andiamo, ci sarà tempo per riposare, forse.

PEST CONTROL

Terreno fertile quello del GMM24 per le band hardcore e ora è il turno dei Pest Control di inaugurare questa terza giornata. Pieni di esuberanza giovanile prendono spunto dal thrash e dal crossover degli anni ’80 ma con un tocco fresco e contemporaneo. Per i fan di Municipal Waste, Hatebreed e Suicidal questo è stato un debutto al GMM molto ben accolto, sin dal primo riff la folla è esplosa in un mosh pit praticamente continuo. Costante della giornata di oggi più di altre forse.

DEFECTS

Super gruppo formato da membri di Shvpes e The Raven Age, gli inglesi Defects irrompono sul palco poco dopo mezzogiorno, sotto il sole finalmente. Breakdown spaccaossa, ritornelli che ti entrano subito in testa, e una giusta e sana dose di groove scanzonato, ed il gioco è fatto, senza troppo pretese i Defects portano a casa la giornata, divertendosi e riuscendo a coinvolgere il pubblico del GMM24 in moshpit e pogo, ed è tutto ciò che serve.

SUFFOCATION

Sono le 13.20 e torno dentro al Marquee passando sopra la paglia che è stata prontamente buttata a terra, tamponando quella che era ormai diventata una distesa di sabbie mobili. Siamo all’estero…me lo ricordo bene, qui non si sottovaluta la sicurezza delle persone a discapito del guadagno.

Ci siamo, il “mio” primo gruppo della giornata che attendevo con ansia sta per salire sul palco: Il momento che tanto aspettavo è giunto. Dopo qualche mese rivedo i miei adorati Suffocation, una macchina da guerra brutalmente abrasiva, che con i loro primi album hanno tracciato la via per la creazione di un genere vero e proprio, il brutal death metal tecnico, marchiando a fuoco tutti i gruppi nati dopo di loro e che da loro hanno preso ispirazione. Alle prime note si apre il pit, come inghiottiti in una voragine, i fedelissimi metalheads accorsi copiosamente sottopalco si scatenano in circlepit praticamente costanti, incitati a più riprese dal carismatico frontman. Dimostrano di avere una carica e un’energia impressionanti, oltre che un evidente affiatamento, che si palesa non in maniera esplicita tra loro, ma nel modo in cui suonano: un’esecuzione tecnica impeccabile, una macchinario con tutti gli ingranaggi ben oliati che funzionano sempre alla perfezione. Ricky Myers, in formazione dal 2019, fa rimpiangere solo in parte leggendario cantante Frank Mullen; anche il suo growl è micidiale come lo è la sua presenza scenica, massiccia e imponente in tutti i sensi, e altri paragoni non hanno senso di essere di fatti a mio parere. Le esibizioni dei Suffocation sono intense, sotto ogni punto di vista: lo sapevo già e ne ho avuto solo l’ennesima riprova oggi. Tecnicissimi e brutali, come piace a me.

Giusto il tempo di una birretta e di un attimo di ristoro tra l’ampia scelta di cibo qui a disposizione e si riprende.

PESTILENCE

Nel loro periodo di massimo splendore i Pestilence erano di gran lunga la band death metal olandese di maggior successo, con album seminali come Malleus Maleficarum (1988), Consuming Impulse (1989) e Testimony of the Ancients (1991) che ispirarono orde di nuove band. Setlist studiata ad hoc per l’occasione: tra i classici del passato e brani dell’ultimo periodo. L’inossidabile Patrick Mameli, chitarra e voce che ve lo dico a fare, ormai unico membro storico ancora in formazione, si conferma quello che è sempre stato: un esecutore impeccabile di riff con un carisma del tutto particolare. Tenuta ginnica d’ordinanza, muscoli e tatuaggi in evidenza, cartone del latte e lattine di bibite energetiche a portata di mano (si avete letto bene), e via.

Una prestazione di alto livello la loro, curata sotto ogni aspetto, grazie anche ai professionisti da cui il buon Mameli si fa sempre accompagnare: Michiel van der Plicht alla batteria, Rutger van Noordenburg all’altra chitarra e Roel Käller, al basso. Nota di merito a entrambi per una padronanza dello strumento e una presenza scenica non indifferenti.

Pogo e moshpit si scatenano in maniera inesorabile a quasi ogni loro attacco, impossibile rimanere impassibili di fronte all’esecuzione micidiale e impeccabile di brani spesso articolati tecnicamente ma allo stesso tempo coinvolgenti e travolgenti in una maniera incredibile, e il pubblico del GMM24 risponde alla grande.

Questa è passione, questa è coerenza, questa è fedeltà, questo è il metal. Fiera di far parte di questa grande famiglia, come ci ricorda a più riprese Mameli.

BATUSHKA 

Batushka in cirillico significa “padre”, o meglio, “prete ortodosso”. Il metal ha la sua buona dose di band in cui le identità dei membri sono avvolte nel mistero e spesso è facile liquidarlo come un espediente che maschera una mancanza di qualità, questo non è certo il caso dei Batushka. Il loro itravolgente amalgama di black metal veloce e atmosferico e canto in lingua madre conferisce un’atmosfera davvero unica di solennità nera. Nel 2019 la band si è divisa in due entità separate, ciascuna contenente una manciata di membri della formazione originale. Da allora sono attive due versioni di Batushka, molto simili tra loro in tutto e per tutto. Il loro rituale magico, che porta sui palchi le iconografie bizantine, gioca con lo spettatore attanagliato dal dubbio vacillante di qualsivoglia fede, sfruttando l’espediente di attingere all’ortodossia dell’Europa Orientale imperniata di dogmi, reclamando sangue e obbedienza. I Batushka mettono in scena una vera e propria liturgia in chiave black metal, per gli appassionati del genere, davvero imperdibile, e infatti il Marquee è colmo raso di “fedeli” che assistono nel quasi totale silenzio all’ora precisa di spettacolo, dopo la quale, come son entrati, in religioso silenzio per l’appunto, i monaci profani ci lasciano senza pronunciare una sola parola e lentamente se ne vanno come figure evanescenti senza volto, che hanno portato al GMM24 un concerto imperniato sull’evocazione e la liturgia.

MR BUNGLE

I Mr. Bungle sono stati fondati originariamente nel 1985 dal frontman dei Faith No More, quel folle di Mike Patton. La band ha attraversato varie incarnazioni nel corso della sua esistenza, inclusa una pausa prolungata tra il 2000 e il 2019. Sono particolarmente famosi per i loro frequenti spostamenti tra stili musicali come ska, disco, jazz d’avanguardia, funky metal, spesso nello spazio di una singola canzone, e se non è follia questa. La loro musica è stata etichettata anche come rock alternativo e metal d’avanguardia grazie all’uso di strumenti non convenzionali e alla miscela estremamente varia di generi. I Mr. Bungle si sciolsero nel 1999 ma sei anni fa si riformarono con i membri originali Mike Patton (voce), il chitarrista/tastierista Trey Spruance e il bassista Trevor Dunn e le nuove aggiunte Scott Ian (chitarra ritmica) e Dave Lombardo (batteria).

Il bunny che dà il titolo al loro ultimo lavoro lo troviamo sul telo alle loro spalle. Mike Patton alla soglia del suo sessantesimo compleanno è ancora un vero e proprio sovvertitore. I suoi capelli strettamente intrecciati, il risultato, ci dirà in seguito, di un rapimento alieno. Gioca come un bambino felicemente con i suoi giocattoli, inserendo nelle canzoni fischi e versi di animali come meglio crede. Sono bizzarri, strani, imprevedibili, eccentrici. I Mr. Bungle sono pazzeschi, e questo è quanto.

EMPIRE STATE BASTARD

Corro attraverso la folla e il fango per vedere l’ultima mezz’ora degli Empire State Bastard, band frutto dell’ingegno malato del frontman dei Biffy Clyro, Simon Neil, e dell’ex chitarrista degli Oceansize Man, Mike Vennart; completa la formazione la bassista dei Bitch Falcon, Naomi Macleod. Chiunque si aspetti pezzi radiofonici in stile Biffy, probabilmente rimarrà un po’ deluso, come lo sono rimasta io nel trovare Simon Neil con i baffi…mi sa tanto di pornoattore degli anni ’80 e non mi piace per nulla. “Un sogno erotico di mezza estate” infranto, potrei intitolare così il pezzo di oggi. Ma tornando alla musica che è meglio, gli Empire State Bastard sono viscerali, pesanti, metal e assolutamente originali nella loro proposta, lontani un milione di miglia dagli inni rock orecchiabili che riempiono il quotidiano di Neil.  Non si può sottovalutare quanto siano perfettamente sincronizzati tra loro, con Simon che sotto quella mantella nera si dimena come un ossesso cantando dando spesso le spalle al pubblico, rannicchiato in fondo al palco. Andate ad ascoltarli e non ve ne pentirete, ma indossate i tappi per le orecchie se li vedete dal vivo, perché questi bastardi fanno parecchio rumore. 

URIAH HEEP

Formatasi nel 1969, gli Uriah Heep hanno pubblicato una serie di dischi acclamati in tutto il mondo. Sfortunatamente, a metà degli anni settanta, alcol, droga e megalomania fermarono lo slancio della band. Tra vicissitudini e decessi purtroppo della formazione originale resta solo Box. L’entusiasmo duraturo di Box è davvero sorprendente e il nuovo album Chaos & Colour (2023) conferma che la narrativa degli Uriah Heep è lungi dall’essere finita. Questa sera sul piccolo palco dello Jupiter, per leggende come loro, ci faranno ascoltare insieme ai brani più recenti anche i loro immancabili classici come Gypsy, Lady in Black, Easy Livin’ e July Morning, serviti da Mick & Co con quel suo sorriso eterno. L’apoteosi arriva con Demons And Wizards e Lady In Black che fanno cantare tutti i vecchietti metalheads e non solo accorsi qui in fondo all’area del festival. È impressionante vedere come la band riesca ad essere a suo agio in ogni contesto: eleganti e di classe anche in questo contesto di festival, tutt’altro che pettinato. Un’altra band storica che non riesce proprio a essere pronta per la pensione, semplicemente incrollabile.

KAMPFAR

Prendendo il nome da un antico grido di battaglia norvegese che significa “Odino”, i black metaller Kampfar spengono trenta candeline quest’anno e sono uno dei sopravvissuti alla famigerata seconda ondata di black metal norvegese. La band gira attorno allo straordinario frontman biondo Dolk. La loro miscela punitiva di black metal e folk metal vichingo è al suo debutto sul palco Marquee al GMM24. Nella parte finale dello show Dolk si toglie la maglia mettendo in mostra il suo tatuaggio sul ventre che ritrae il logo della band. Uno show potente e incisivo che ci ricorda cosa significhi fare black metal credendoci davvero.

LIMP BIZKIT

Con vendite discografiche superiori a trenta milioni di copie, i Limp Bizkit sono uno dei gruppi rock americani di maggior successo del nuovo millennio. La loro combinazione di punk, rock, rap e metal li pone in prima linea nel genere nu-metal.

Sono le 21.05 e si comincia a sentire l’intro dei Bizkit riempire l’aria del terzo giorno di GMM24. Cala il telone che copriva il palco e si scatena il delirio. Durst con una giacca catarifrangente gialla, barba e una folta chioma di riccioli brizzolati si dimena come fosse ancora un ragazzetto con il cappello da baseball in testa, oggi non pervenuto. Wes Borland con una maschera e una cascata di rosari sul volto, comincia a macinare riff come solo lui sa fare. Parte Break stuff si passa a Shotgun Boiler e si chiude con Nookie…è il delirio puro, moshpit e pogo uniti a decine di crawdsurfing tra il pubblico decisamente partecipe a quella che sembra una festa più che un concerto. Durst è un frontman istrionico, interagisce, parla, scherza con il suo pubblico. E tra questi si annovera il giovane Gabriel, accompagnato dal padre, che mostrando un cartello con scritto: “per favore fatemi suonare Faith (cover di George Michael) con voi sul palco” viene accontentato. Pazzesco davvero, il suo momento di gloria che diventa una condivisione felice con la folla di 80 mila persone che hanno ricoperto il prato più o meno infangato di Dessel oggi. Occasione per Fred per ricordarci di credere sempre nei nostri sogni: un messaggio positivo da parte di una band che ha segnato in tal senso intere generazioni con la sua musica ancora fottutamente irriverente. Non sta fermo un attimo fino a Behind Blue Eyes che permette a tutti di riprendere fiato con una bella versione di questo classico degli Who. Durante tutto il concerto i Bizkit hanno giocato con il pubblico, con il classico siparietto dell’inizio di una cover fermandosi un attimo prima che esploda la canzone.

E non poteva di certo mancare Keep on Rollin‘ da urlare a squarciagola tra la folla scatenata. I Limp Bizkit fanno ancora divertire e saltare come poche:

Keep rollin’ rollin’ rollin’ rollin’

I Limp Bizkit hanno dimostrato di essere ancora in grado di fare buona musica contagiosa, con canzoni che daranno voce alle generazioni per gli anni a venire. La nostalgia è una cosa potente, e con questo tuffo negli anni Novanta ce ne siamo tutti resi conto. It’s my Generation.

AVENGED SEVENFOLD

Nel 2006, gli americani gli Avenged Sevenfold sono stati per la prima volta sul terreno del GMM. Da allora, la band è cresciuta fino a diventare una delle migliori interpreti del suo genere, pubblicando album che ora sono considerati dei classici nel loro ambito. Nel 2024, la band torna a Dessel per la sesta apparizione al Graspop Metal Meeting, presentando il loro ultimo album al pubblico belga. L’attesa per il primo dei due gruppi headliner di oggi è finita, sono quasi le 22.30 quando fanno il loro ingresso trionfale sul palco. Scaletta composta da brani estratti dal nuovo album ma ovviamente anche dai loro grandi successi: Buried Alive e la stessa Nightmare; davvero emozionante la resa dal vivo, così come Fiction, particolare e molto sentita tanto dai Sevenfold quanto dai fan. Un solo pezzo estratto dall’omonimo album del 2007 e si tratta di Afterlife, accolti da tutti con grande entusiasmo. Nel complesso si rivela buona anche la prestazione del cantante Matthew Shadows, frontman dotato di personalità e a suo modo di carisma, doti che è costretto ad esaltare per sopperire alle mancanze tecniche che solo un fan accanito non riuscirebbe a notare. Non poteva mancare, poi, Unholy Confessions, a rievocare i fasti di un album come Waking the Fallen, a dieci anni dalla sua uscita. Una scaletta di dodici pezzi, per un’ora e mezza di live, in cui gli Avenged Sevenfold dimostrano di saperci fare e di non essere affatto dei novellini. Canzoni efficaci che fanno cantare migliaia di persone, sono capaci di gestire il palcoscenico del GMM24 senza difficoltà e con un pizzico di ruffianeria che non guasta mai, i cinque californiani sono diventati un punto di riferimento per molte giovani band alla ricerca del successo. Critiche ce ne saranno sempre nei confronti di band come loro, ma gli Avenged Sevenfold, come chi li seguirà a breve sull’altro palco del GMM24, sono una di quelle band che possono permettersi di comporre album mediocri se non addirittura scadenti e ottenere ugualmente un riscontro fortemente positivo da parte dei fan. Gli Avenged Sevenfold questa sera sono stati all’altezza della situazione, non solo offrendo una serie di classici da mosh pit garantito, trasmettendo un’energia contagiosa agli 80 mila che affollano questa terza giornata del GMM24 ormai in dirittura d’arrivo.

ABBATH

Abbath Doom Occulta, o Abbath in breve, è l’ex frontman delle leggende norvegesi del black metal Immortal. Con la scaletta proposta questa sera esploriamo il suo universo black metal dove lui, e lui solo, regna supremo. Una perfetta miscela di black metal, thrash, hard rock e heavy metal. Atmosfere brutali e taglienti, che solo gruppi prove minienti dalla Norvegia, con il black metal che scorre nelle vene, sanno ricreare ovunque vadano e in qualunque situazione si esibiscano. Un’immensa scritta in acciaio Abbath fa capolino sul palco, improvvisamente calano le luci e di fronte ad una batteria a doppia cassa molto imponente con dietro l’effige del protagonista della serata cominciano a palesarsi i vari componenti della band. Gli Abbath entrano in scena senza troppi fronzoli, con il batterista ad aprire la fila e dietro gli altri, con corpse paint e avambracci di spine d’ordinanza. L’icona storica del black metal mondiale Abbath, dietro la sua armatura oltre che il face painting che da sempre lo contraddistingue, accompagnato da una formazione di grande livello, darà luogo a un live efferato. Gesti, smorfie, posture al limite del grottesco, che fanno quasi sorridere, di certo non paura, ma che son parte integrante del suo personaggio, che ci offre al meglio che può il suo sound spesso definito black n’ roll, ovvero puro black metal con un groove originale e del tutto caratteristico che lo hanno reso tale e Immortal nel tempo, concedetemi il gioco di parole.

BRING ME THE HORIZON

Un decennio dopo la loro ultima apparizione qui, i Bring Me the Horizon tornano sul terreno del Graspop Metal Meeting. Nel frattempo la band si è guadagnata un nuovo status di leader del metal moderno. Guidati da Oli Sykes, i BMTH hanno un gusto per la sperimentazione, sia dal vivo che in studio, mescolando il metalcore con l’elettronica e la musica pop e mettendo in scena spettacoli visivamente strabilianti. Il fenomeno Bring Me The Horizon è cresciuto con il tempo sempre di più, cambiando spesso l’etichetta di appartenenza. Dal deathcore crudo dell’inizio, ancora oggi amato dai fan piu nostalgici, a chi considera la fase di mezzo l’apice della loro carriera e chi invece, come le nuove leve, è entrato a conoscenza del gruppo nell’ultima fase più pop rock/sperimentale. Una cosa però è certa, i BMTH hanno una fanbase solida pronta ad accompagnare nei cori la band in ogni canzone. È mezzanotte, quando sotto il cielo stellato e con un’aria frizzantina addosso, che, dopo una breve presentazione fatta da un’animazione in stile Final Fantasy proiettata sul grande schermo posto sullo sfondo del palco, i nostri entrano in scena proponendo come apertura del proprio set Darkside, ormai un classico della band inglese. Tutto è scrupolosamente curato nei dettagli e anche a livello visivo oltre che d’impatto scenico si ha quasi la perfezione. La scaletta è accolta con entusiasmo da tutti i presenti, il coro di voci dei fan accorsi in massa a questo show conclusivo del terzo giorno di GMM24 è durato dal primo brano fino all’ultimo. Ritmi commerciali e cantabili, che sono il leitmotiv dei due headliner di oggi, con Shadow Moses, estratto dal riuscitissimo Sempiternal, come apice, almeno a mio parere. Come detto inizialmente non siamo di fronte ad un pubblico casuale, esclusi i rimasti metalheads intransigenti: i BMTH infatti hanno nutrito e allevato la propria fanbase passo per passo, senza mai tradirla nonostante l’evoluzione stilistica che ha fatto forse storcere il naso a qualcuno di loro.

Questo è stato più che un live, uno spettacolo, sia per la performance dei BMTH, sia per i vari effetti scenici che hanno reso quest’ultimo concerto di oggi veramente piacevole, anche per chi come me non è di certo fan di queste sonorità moderne.

Chi l’avrebbe mai detto? Dagli esordi deathcore i Bring Me The Horizon ce l’hanno fatta, è qui davanti agli occhi di tutti.

Non so come, ma giungo alla fine anche di questa terza giornata del GMM24 che, come vi avevo anticipato sarebbe stata spettacolare, l’adrenalina e l’entusiasmo sono quindi alle stelle. Con le gambe che non sento più e la carenza di sonno che si fa sentire davvero, torno all’alloggio, stanca da far schifo ma soddisfatta anche oggi per l’esperienza che ho vissuto. Emozioni che è difficile trascrivere a parole, ma ci sto provando, spero tanto che qualcosa vi arrivi, e se è cosi non mancate l’anno prossimo, le date del GMM25 usciranno a breve, ne varrà sicuramente la pena, non ho bisogno di aspettare domani per trarre questa conclusione. Io sicuramente ci sarò, già ve lo dico.

Stay metal, stay safe & take care.

Stay tuned & see you tomorrow for the last day of GMM24.

Photo credits: @GraspopMetalMeeting.

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