Articolo di Umberto Scaramozzino | Foto di Marco Arici
Fa un po’ strano nel 2025 ritrovare gli Avenged Sevenfold al Kozel Carroponte di Sesto San Giovanni, poco fuori Milano. Non perché ci sia qualcosa che non va nella venue, che anzi si conferma come ogni anno un punto di riferimento imprescindibile per l’estate live italiana e appare sempre più curata. Ma perché dodici anni fa circa, quando gli Avenged suonavano il loro ultimo show nel capoluogo lombardo, il Forum di Assago era colmo di hype ed entusiasmo e si pensava che l’ascesa sarebbe continuata, inesorabile.
Oggi, nonostante M. Shadows e soci siano tra i pochi gruppi metal contemporanei a risultare credibili come nuovi headliner che raccolgono l’eredità dei tanti gruppi heavy vicini alla pensione, la fase della carriera risulta calante. Li vediamo dunque in cima ai cartelloni di grandi festival come Download o Hellfest, ma nei tour individuali raccolgono meno pubblico, o forse semplicemente non ne hanno creato un nuovo. E così nel 2013 mandavano agilmente sold out il Forum, mentre oggi faticano a riempire il Carroponte.
Il mancato sold out però non deve ingannare sulla riuscita della data, perché già l’accoglienza che il fandom italiano riserva agli Avenged è eloquente. “Come fate a essere sempre così rumorosi?” chiede il frontman, divertito dai decibel sprigionati dalla platea e pronto a rivendicare con orgoglio il suo pezzetto di cuore italiano, grazie alla nazionalità di sua moglie. L’elogio di M. Shadows non è assolutamente ruffiano, la prova è sotto gli occhi – e nelle orecchie – di tutti e fa capire che forse è meglio una location più piccola ma piena di questo furore, che un ippodromo mezzo vuoto e dispersivo.
A deludere, almeno inizialmente, sono i suoni. Un pasticcio unico, con volumi inadeguati. Ma mentre il mixer lavora e la voce di M. Shadows si scalda, lo show esplode in tutta la sua dirompenza già al secondo brano in scaletta: “Chapter Four”. Quando tocca ad “Afterlife” la dimensione del Carroponte diventa talmente relativa da avere la sensazione di avere davanti lo stato dell’arte dell’heavy metal. Nonostante qualche mezzo passo falso discografico, nonostante la difficoltà nell’inserirsi nel quadro di una musica pesante contemporanea che è sempre più multiforme e distante dai pilastri, gli A7X sono ancora grandi, grandissimi. E la prova è il classicone “Hail to the King”, che suona più potente che mai.
Avanzando nella scaletta i suoni migliorano nettamente e permettono di godere di tutte le sfaccettature di “The Stage”, forse il pezzo invecchiato meglio di uno dei dischi più sottovalutati del combo. Inevitabile poi emozionarsi nella solita “So Far Away”, dedicata al compianto The Rev, a distanza di anni sempre molto presente in tutti i cuori, sopra e sotto al palco.
Johnny Christ al basso e Brooks Wackerman alla batteria sono impeccabili, ma è il solito Synyster Gates nella seconda metà della serata a prendere il sopravvento e inondare la platea con il suo stile e la sua aura, ovvero le armi segrete che l’hanno reso fin dagli esordi un musicista di culto nell’ambiente e uno degli ultimi chitarristi a far risuonare il proprio nome tanto quanto quello del proprio leader. Leader che, a dirla tutta, appare in forma splendida. Non risente neanche un po’ del quarto di secolo di attività e riesce a coadiuvare la freschezza di un tempo con la solidità e il carisma di un artista fatto e finito, conscio del suo ruolo.
A sorpresa, la tappa milanese fa registrare un debutto assoluto dal vivo per il brano “Creating God”, sempre di The Stage, mentre affida la chiusura alla collaudata con “A Little Piece of Heaven”, ancora oggi – nonostante le recenti sperimentazioni, talvolta forse anche un po’ incomprese – uno dei brani più originali e affascinanti della band americana. La ciliegina sulla torta di quello che rischiava di essere solo uno dei tanti concerti di questa metà di giugno affolatissima e che invece lancia un messaggio chiaro e perentorio: al netto dei numeri, gli Avenged Sevenfold sono ancora il solido presente dell’heavy metal.
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