Recensioni

MISACHENEVICA – Come Pecore in Mezzo ai Lupi

Dischi Soviet Studio / Audioglobe
Dicono che la neve abbia un je ne sais quoi di magico. O forse, a giudicare da ciò che ne resta sul ciglio delle strade milanesi, qualcosa di visibilmente “sporco”. Lo stesso aggettivo, nel senso più artistico del termine, calza a pennello per descrivere il sound dei Misachenevica, che scelgono proprio questo freddo mese per pubblicare il loro disco d’esordio Come pecore in mezzo ai lupi. Tanta era la voglia di andare controcorrente e di pensare – come direbbero oltremanica – ‘fuori dalla scatola’, che il trio padovano prodotto da Bordin dei Mojomatics ha sentito l’indomita necessità di incidere il disco in analogico di getto (in soli sei giorni), senza porre limiti all’improvvisazione o alla promiscuità di generi.

A metà ascolto, la band propone la galoppata minimal corale-strumentale di Dr. Lennon, che funge da spartiacque tra i primi cinque pezzi pregni di un ruvido e rozzo garage e i restanti cinque, nei quali appaiono evidenti le contaminazioni Brit pop. Riassume alla perfezione l’essenza del side a il titolo del singolo di lancio, Figlio illegittimo di Kurt Cobain: scarica di batteria, chitarra deflagrante, voce rarefatta, irresistibile ritornello. Non altrettanto orecchiabili ma certo non meno furoreggianti i due minuti e mezzo di Apridenti, la confessione in stile The Reatards di un immenso sentimento a cui, imprigionati da troppe paure, non si è mai voluto guardare in faccia. Infarciti di cori Retromania e 12 giugno: il primo è uno dei pezzi più ritmati dell’album, che saccheggia il patrimonio folk conservandone l’estrema immediatezza e spontaneità; il secondo, più sfaccettato, si apre come una soft ballad per articolarsi in una complessa e trascinante arte di uptempo e pause lascive. Uno dei brani maggiormente riusciti è sicuramente Il nostro Paese diviso in due con il merito di accompagnare, con magistrali riff à la Nirvana, parole che riescono a dipingere con profonda delicatezza la disillusione del presente italiano (“…Siamo orgogliosi noi, di essere anti-eroi…”).

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[/one_fourth]Nel nostro ipotetico lato b i MSCN cesellano pezzi come La partita di calcetto infrasettimanale, dove tutto fluisce tra metriche corrive scandite dalle bacchette di Miotti e dalla potenza dei riff di Zanon, che ama alternare tra toni caustici e acuti più intensi, e Tasche piene: qui l’intro anni ’90, attingendo a piene mani alle melodie dei Mad Season, è placidamente reiterato in modo da accarezzare l’ascoltatore con atmosfere dolci e soffuse, per rigraffiare nel pre-chorus accompagnato da ariosi cori a due voci, e sfumarsi infine in un’atmosfera fumosa ed eterea. Ed ecco che in Smaltire tra le scimmie le chitarre Brit pop e gli assoli folk rock esprimono con veemenza la scarica emotiva del protagonista, quasi a voler colmare il suo vuoto interiore causato dalla perdita di una persona cara e dal rimpianto per le parole non dette. La narrativa si incupisce come in una melodia dei Joy Division nelle ultime due track, Aiutaci Matteo e Scheletri nascosti, che esaltano le palpitanti linee di basso di Marco Amore, il cantato enfatico e un ritornello in stile beatlesiano.

Ci lascia così, soddisfatti e nostalgici Come pecore in mezzo ai lupi: un disco bellissimo, la magia che si scioglie, l’effimero da cogliere e vivere intensamente, il racconto di una MT (emp-ty) generation confusa, assai sofferto e sincero, sporco e liberatorio.

di Karen Gammarota

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