Articolo di Simona Ventrella | Foto di Davide Merli
“Il mio livello di conforto nell’essere vulnerabile è probabilmente la mia superpotenza”
Sono le parole che ha scritto Jeff Tweedy nella sua recente autobiografia Let’s Go (So We Can Get Back). Una frase apparentemente semplice, così onesta, a tratti spiazzante, ma che ha nella sua verità una potenza formidabile. Questa potenza disarmante non è una caratteristica esclusiva del solo Jeff, ma è insita e manifesta in tutti i componenti dei Wilco (il bassista John Stirratt, il chitarrista Nels Cline, il batterista Glenn Kotche, il polistrumentista Pat Sansone e il pianista Mikael Jorgensen). Una potenza che la band, istituzione dell’art-rock del Midwest, porta sul palco con estrema naturalezza, figlia di carriere ultra trentennali e di un talento che non ha mai smesso di alimentarsi e produrre dischi di altissima qualità. Da A.M del 1995 fino al Schmilco del 2016 non c’è stato un solo passo falso, che potesse portare la band lontano dal cuore dei fan. Sarebbe impossibile ripercorrere, in queste poche righe, tutte le evoluzioni e le sfumature che hanno caratterizzato il percorso del gruppo, partito dall’eredità country folk degli Uncle Tupelo e arrivato ad una definizione personale e stilisticamente altissima di art rock. Se una tastiera da pc fallisce, la musica vince a mani basse, con un live di due ore e mezza, che con qualche salto qua e là ripercorre la storia di questo straordinario gruppo. La scaletta è ricca e piena di grandi classici, da Impossible Germany, Jesus etc., Theologians, California Stars, Everyone Hides. Giusto per citarne qualcuno.
La bravura e la classe di questi musicisti è qualcosa difficile da descrivere, ma ci sono dei segnali che mentono: nasi all’insù, tutti sull’attenti e sorridenti, quasi impietriti e immobili, più per riverenza, con la paura di poter disturbare, per poi esplodere in fragorosi applausi liberatori. Il calore di un suono che arriva con semplicità, ma che nasconde una molteplicità di suoni che si incastrano l’uno con l’altro alla perfezione, le derive trasversali stilisticamente impeccabili, la giusta dose di sorprese bizzarre e imprevedibili sono una spinta emozionale che riempie il cuore e rifocilla gli animi. Gli Wilco sanno suonare in molti modo diversi, sono capaci di condensare la storia del rock in una canzone, perdersi in tecnicismi arzigogolati o spogliarsi di tutto per gettarsi nella morbidezza di ballate acustiche. Anche questa volta non si sono risparmiati, hanno dato ai propri fan lo spettacolo migliore, senza lesinare, con poche pause e interruzioni e tanto spazio alla musica, che al dispetto di tante parole, arriva diretta e sincera. Anche questa volta sono certa di aver partecipato ad un grande spettacolo di umanità. Grazie a tutti i Wilco per farci ancora innamorare alla faccia di chi pensa che il rock sia morto.
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WILCO – La setlist del concerto di Milano
Bright Leaves
Before Us
Company in My Back
War on War
One and a Half Stars
If I Ever Was a Child
Handshake Drugs
Hummingbird
At Least That’s What You Said
White Wooden Cross
Via Chicago
How to Fight Loneliness
Bull Black Nova
Random Name Generator
Reservations
Impossible Germany
Love Is Everywhere (Beware)
Box Full of Letters
Everyone Hides
Dawned on Me
Jesus, Etc.
Theologians
I’m the Man Who Loves You
Encore:
Misunderstood
Hold Me Anyway
California Stars (Billy Bragg & Wilco cover)
The Late Greats