Articolo di Chiara Bernini (Milano) | Foto di Cesare Veronesi (Padova) – Roberto Finizio (Bologna)
C’è un tintinnio di pioggia in sottofondo, mentre le luci sulle nostre teste sfarfallano al rombo dei tuoni che si fanno sempre più gravi. L’atmosfera è cupa, ansiogena e carica di emotività. No, non siamo nel mezzo di una vera tempesta. Siamo al Forum di Milano in trepida attesa per il concerto dei Cure.
Ieri sera, venerdì 4 novembre, è infatti giunto a termine il minitour italiano della band di Blackpool. Quattro date nel Bel Paese iniziate il 31 ottobre e concluse solo ieri a Milano, dopo aver toccato Bologna, Firenze e Padova, in cui il gruppo non suonava da oltre 37 anni.
Il pretesto dietro al ritorno in Italia è dato dall’imminente uscita del nuovissimo album di inediti Songs of a Lost World. Tra l’altro, proprio quest’anno, i Cure festeggiano i trent’anni di Wish, uno tra i tanti album che nel tempo ha cristallizzato l’iconicità della band. Insomma, due ragioni più che sufficienti per tornare a calcare i palchi di uno dei Paesi che maggiormente apprezza il lavoro di Robert Smith e soci.
La venuta dei Cure in terra italiana costituisce effettivamente un autentico pellegrinaggio capace, ogni volta, di chiamare a raccolta migliaia di adepti per celebrare una band decisamente immortale. L’ennesimo sold out registrato ieri sera ha infatti riconfermato lo stretto rapporto che unisce i fan italiani alla formazione inglese. Un legame reciproco e soprattutto intergenerazionale che, con il passare degli anni, ha unito vecchi e nuovi supporters nel nome della passione per il rock.
E se da un lato, i concerti in Italia rappresentano per i Cure un costante flusso di affetto. Per i fan costituiscono una perenne garanzia di qualità. Sì, perché, nonostante i suoi sessantatré anni suonati, Smith è ancora un frontman mostruoso. Capace di tenere con il fiato sospeso più di 13 mila spettatori per quasi tre ore di concerto. Questo quanto successo anche ieri sera, in un Forum strapieno, scoppiato in un boato di esultanza appena si sono spente le luci.
Uno show infinito, diviso in tre atti, in cui Smith e colleghi ci hanno accompagnati in un emozionante viaggio dentro la quarantennale carriera dei Cure. Una trascinante avventura che ha segnato i presenti, facendogli provare brividi ed emozioni. Mentre i loro volti si rigano per le lacrime nostalgiche di ricordi passati che riaffiorano prepotentemente sulle melodie di pezzi memorabili quali Pictures of You, A Forest e Disintegration. Il tutto immerso in un’atmosfera cupa e onirica. Risultato ottenuto anche grazie a una scenografia mozzafiato in cui effetti sonori, luci e grafiche di ragni giganti (sulle note di Lullaby) hanno amplificato l’imponenza della loro performance.
I sei membri sul palco si muovono con grandissima maestria. E, senza esitazione, si tuffano a capofitto negli strumenti, alternando senza sosta brani recenti – tra cui il debutto di A Fragile Thing – e memorabili, come Faith. A ogni canzone, Smith imbraccia una chitarra differente e, mentre divertito ci osserva cantare, ci tiene per mano con la sua splendida immutata voce.
Non viene lasciato tanto spazio alle parole. È la musica la grande protagonista, intervallata sporadicamente da qualche timido “Grazie!” esclamato con un tenero accento inglese. “In passato sapevo parlare fluentemente italiano”, afferma Robert, giustificando con il sorriso la sua poca loquacità dopo più di due ore di concerto.
Ma al pubblico non importa e si prosegue freneticamente superando la prima encore. Si giunge così al terzo atto, il finale, quello più atteso. E mentre si aspetta l’ultimo trionfale ingresso della band sul palco, il Forum si unisce in un coro di applausi e grida che la chiamano a gran voce. Due ore non sono abbastanza, si vuole ancora continuare a sognare. E i Cure, prontamente, ci accontentano.
Inforcano chitarre e bacchette e aprono così un finale al cardiopalma, infilando uno dietro l’altro i sette brani che più li hanno resi famosi. Lullaby, The Walk, Friday I’m in Love, Close to Me, In Between Days, Just Like Heaven e Boys Don’t Cry. Smith e soci le interpretano tutte d’un fiato mentre il pubblico si scatena, esplodendo in una bomba di amore per i suoi paladini dark.
Conclusasi quest’epopea musicale, Robert Smith resta l’unico sul palco. Sembra un gigante timido di fronte a quella folla che gli sta rovesciando addosso minuti e minuti di applausi. Lui, con le mani giunte al cuore e con un sorriso tenerissimo, si muove da una parte all’altra del palco. Si inchina con profonda umiltà e, con estrema gratitudine, raccoglie quel sostegno che dal 1976 lo spinge ad andare avanti.
“Ci rivedremo presto”, la sua promessa. E noi, con gli occhi pieni di lacrime e il cuore pieno di gioia, non possiamo che ridargli appuntamento alla prossima.
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THE CURE – la scaletta del concerto di Milano
Alone
Pictures of You
A Night Like This
Lovesong
And Nothing is Forever
Cold
Burn
At Night
Charlotte Sometimes
Push
Play for Today
A Forest
A Fragile Thing
Shake Dog Shake
From the Edge of the Deep Green Sea
Ensong
Encore 1:
I Can Never Say Goodbye
The Figurehead
Faith
Disintegration
Encore 2:
Lullaby
The Walk
Friday I’m In Love
Close to Me
In Between Days
Just Like Heaven
Boys don’t Cry
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