Articolo di Roberta Ghio (6 maggio) | Foto di Roberto Finizio (5 maggio)
È l’incantevole cornice del Teatro Dal Verme ad ospitare le sei date milanesi del tour PFM canta De André Anniversary, che omaggia il legame storico tra la Premiata Forneria Marconi e il poeta, cantautore genovese, scomparso ormai venti anni fa.
Appena entrata, come d’abitudine, lo sguardo va al palco e il primo strumento che vedo posizionato al centro è quello che non mi aspetto: un’arpa! Mi avvicino incuriosita, ma appena lo sguardo abbraccia l’ensemble, non posso che gioire di quel tripudio di chitarre acustiche, chitarre elettriche, basso, tastiere, violino per non parlare della batteria e percussioni. La bellezza! Cerco il mio posto, pazientemente attendo e osservo la sala che mano mano si riempie. Il popolo della PFM è vario, come mi aspettavo, più generazioni radunate, chi arriva dalla biblioteca, chi dall’ufficio, chi dopo aver lasciato i nipotini. Tutti riuniti per godere della musica di uno dei gruppi più innovativi, rivoluzionari, longevi e con respiro internazionale della storia della musica italiana. Tutti riuniti per godere dell’eredità di Faber.
La curiosità sull’arpa è presto svelata. Un leggero abbassamento delle luci accompagna l’ingresso di Micol Arpa Rock, arpista genovese. Dopo le prime note mi è chiaro a cosa stiamo per assistere. Brani di Fabrizio eseguiti con questo affascinante strumento, suonato in piedi. Ascoltiamo così, Verranno a chiederti del nostro amore, Via del Campo, La canzone dell’amore perduto. Tre perle, che invadono il teatro sotto forma di gocce nate da pizzichi di corde. Se ero certa che al concerto della PFM mi sarei emozionata, non avrei mai pensato ad un inizio serata così spiazzante.
Salutata Micol, tra applausi e torce dei telefoni, è tempo di accogliere i padroni di casa! Le luci si abbassano ulteriormente, vediamo entrare i nove musicisti, sguardo sorridente, tutti in look total black ad eccezione del “Randagio” – come porta scritto sulla maglietta – Franz di Cioccio, che si distingue per T-Shirt appunto e l’immancabile bandana nei capelli. Abbracciati dal caloroso applauso del pubblico, tutti ai posti di combattimento, per dare il via a PFM canta De André con il ricco intro strumentale di Bocca di Rosa, brano accolto da una sala che si aggiusta sulle sedie per partecipare meglio al live e che istintivamente inizio a cantare, come facevo sempre da bambina, quando non mi ponevo troppe domande sul contenuto del testo, ma grazie al quale ho scoperto il significato di parole come ‘concupito’, ‘invettiva’.
Perché i testi di Fabrizio sono sì poesia, ma anche cultura in tutte le sue forme, per l’utilizzo delle parole, per la conoscenza ed esplorazione dell’animo umano e delle emozioni, per i messaggi d’amore e di pace come La Guerra di Piero, in cui la sala si trasforma in un campo di papaveri rossi. Sul palco la PFM, prende le preziose parole di Fabrizio e le rivede, in chiave progressive, dando nuova forma, ponendo diversi accenti, ma sempre esaltando, riuscendo a rendere la parte strumentale di Andrea ancora più incalzante rispetto all’originale, grazie anche agli “Andale! Andale!” di Franz che accenna passi di danza e chiede il battimani, incita, dirige, coinvolge, con un’esuberanza che dà ancora più potenza al brano e allo stesso tempo alleggerisce quel testo dal contenuto così disperato. Un Giudice è resa ancora più ficcante dall’arrangiamento per fisarmonica, arricchita ed incitata dal tamburello di Di Cioccio, che declamando alcune strofe, sostituendo così il cantato, rende quelle parole ancora più tonanti, mentre il basso di Patrick Djivas ti porta negli abissi più profondi di Giugno ’73.
Di preziosità in preziosità, arriviamo al momento per me più atteso, quello de La Buona Novella, l’album che più amo di Fabrizio e che mi commuove per delicatezza e potenza ogni volta che lo ascolto. Di Cioccio ci racconta dell’incontro col Fabrizio generoso e tuttologo, amante della vita, della conoscenza e di come volesse fortemente raccontare la vita di Gesù “il più grande rivoluzionario della storia”. Ci immergiamo così in Universo e Terra, brano strumentale di apertura di A.D. 2010 – La buona novella, nato per celebrare il concept album di De André. Dopo un inizio soft, il preludio cresce, raggiungendo un ritmo che richiama sonorità anni ’70, per poi passare alla poesia talmente sublime da fare male de L’Infanzia di Maria. Ma qui dobbiamo lasciare Fabrizio, perché ogni tentativo di paragone risulterebbe vano.
In una sala immersa nel blu, che risulta buia se non per i coni di luce ad inquadrare chi sta eseguendo, la voce Franz Di Cioccio è solenne, denuncia ed emoziona allo stesso tempo, il basso esalta i momenti più gravi, mentre il violino rende perfettamente la drammaticità della storia di Maria bambina. Arrangiamenti essenziali che lasciano spazio a potenti ensemble strumentali, in un sali scendi emozionale da brivido, in cui il sentimento è palpabile. Il battimani abilmente diretto rende partecipe il pubblico all’esecuzione di Maria nella bottega di un falegname per poi accogliere il brano che, di questo album è forse il più conosciuto, Il testamento di Tito reso con un inizio minimale di voce e chitarra, che vengono raggiunti via via dagli altri strumenti, arrivando al suono pieno in stile PFM.
Lasciata la Buona Novella, Franz di Cioccio si porta alla batteria e sul palco arriva Fabrizio, con la sua voce. Lo ascoltiamo cantare La canzone di Marinella e lo sentiamo presente, vivo, insieme a noi, anche quando, lasciate le situazioni più intime, ci scateniamo con Zirichiltaggia, momento in cui mi sento catapultata in un saloon e stare seduti diventa estremamente difficile. Ogni gesto, suono, sorriso che arriva dal palco emana energia, ritmo, potenza, perché non dimentichiamo che Fabrizio era sì impegnato, ma sapeva essere anche tanto scanzonato. Non si può non reagire al “Branca! Branca! Branca! Leon! Leon! Leon!” che apre Volta la Carta con corpi che ormai faticano a stare seduti e braccia che seguono la filastrocca. Si torna intimi, ma solo per un attimo su Amico Fragile, per poi lasciarci andare, tutti in piedi, liberi a cantare e ballare al ritmo incalzante de Il Pescatore, con una band scatenata e un’energia che emoziona e fa stare bene. Il finale è tutto per la PFM, con E’ festa e il tanto atteso assolo di batteria di Di Cioccio.
Esco, appagata dalla serata e penso a quel gran genio di De André, a come è sempre attuale, presente, vivo e come la PFM abbia saputo spingere ancora di più i suoi testi confermandoli e rinnovandoli allo stesso tempo emozionando, grazie alla loro bravura e al “randagismo”, che li ha portati ad esplorare e creare un suono che emoziona anche quando si sta ridendo. Quando scegli certe canzoni e certi artisti, lo fai per sempre.
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PFM – La setlist del concerto di Milano
Bocca di Rosa
La guerra di Piero
Un giudice
Rimini
Giugno 73
Preludio – Universo e Terra
L’infanzia di Maria
Il sogno di Maria
Maria nella bottega di un falegname
Il testamento di Tito
La canzone di Marinella
Zirichiltaggia
Volta la Carta
Amico Fragile
Il Pescatore
È festa – Impressioni di Settembre