Articolo di Marzia Picciano | Foto di Rossella Mele
Ma chi diavolo è James Blunt, al secolo James Hillier Blount? Al di la di sapere con imbarazzante chiarezza di chi si tratta (Back to Bedlam è stata una colonna sonora degli anni 2000, difficile far finta di niente), la domanda è importante, validissima, soprattutto dopo averlo visto nell unica data italiana del tour del suo ultimo album in studio, Who We Used To Be, ieri 2 marzo, al Milano Forum di Assago, si, un sold out, con tutti i posti a sedere laterali occupati (e un parterre adeguato a sala cinema).
Prima di tutto, ha 50 anni, ok si comincia a vedere, ma a me sembra ancora il ragazzetto che cantava alle ragazze intraviste in metro innamorandosi come solo certi romantici sanno e (non) dovrebbero fare. Ha ancora la stessa adorabile ironia che l’ha reso il mio eroe su Twitter (e potenzialmente un’arma letale per la polizia neozelandese che ha minacciato i manifestanti anti restrizioni da Covid di torturarli sparando il suo repertorio in filodiffusione per tutto il giorno – altro che manganelli). Dice che si è comprato anche i jeans nuovi per il tour, considerando che non ricordo di averlo visto se non in full denim, per me è come Paperino che cambia la divisa con un’altra, identica, da marinaretto: confortante e confinato in un immaginario collettivo in cui mi rispecchio, mi ritrovo e mi sento immediatamente vecchia (più di lui).
No, non siamo con la mente a Paperopoli, ma nel magical mystery tour del Signor Blunt, che per l’occasione ha messo su un merch che esalta il suo lato più paraculo – come resisti a una maglietta con l’indicazione di un lido di Ibiza, dove tra l’altro lui in parte vive davvero, una spiaggia dove everybody is beautiful, sapendo che viene proprio da lui? Siamo negli anni zero-zero, esplode il fenomeno James Blunt, che poi lancia l’idea di un pop dolce, chitarroso e vagamente folk, la canzone per tutti, fatta da un bravo ragazzo che prima va alla chitarra e poi al piano e viceversa, e che troverà tanti altri artisti ispirati sulla stessa falsariga.
Ieri sera c’era questo, c’era nella mente dei presenti (inclusa la sottoscritta) ma c’era anche altro. C’era James Blunt versione matura, arguto quanto basta per rendersi conto di aver creato un impero sulle sue canzoni, usato la critica e sfruttrato i troll che volevano catalogarlo come lagnoso per amplificarne l’eco alla massima potenza e posizionarlo come quello-che-poi-cosi-stupido-non-e’, sfornato un nuovo album che strizza l’occhio a Ed Sheeran e un libro che si permette di fare stand up sulla sua storia (dal titolo incredibilmente accattivante, “Loosely Based On A Made-Up Story: A Non-Memoir”). La domanda è giustissima, chi diavolo è James Blunt, e se mi tirate fuori la storia del figlio del colonnello che scrive canzoni ed è diventato famoso vuol dire che vivete nel Truman Show, o che forse, alla fine, non vi interessa cosi tanto. Vi interessa stare a cantare QUELLA o QUELL’ALTRA canzone.
Lasciando stare il fatto che limitandovi a ciò, state tralasciando il meglio di Blunt, che continua a far crescere piccoli regni del marketing grazie al vostro amore spassionato per dei pezzi oggi inevitabili e su cui, ripeto, anche lui si prende in giro (!), l’happening di ieri è di fatto prova di una serie di cose che esistono ancora e che non dovremmo ignorare.
Primo. Le sapevamo tutte. Ed eravamo tutti lì per quello, anche il tipo della coppia anconetana accanto a me, felice di essere lì come lo sarebbe chiunque a un seminario sulla triade della dialettica hegeliana, alla fine cantava. Dopo aver avviato la sessione con Beside You e Saving A Life che arrivano dirette e ritmatissime (come ci insegnano i The Kolors, da cassa dritta), lancia a tradimento Wisemen, e… here we go, nostalgia. Scherza subito dopo: è il tour dell’album nuovo, farà solo pezzi nuovi e del resto noi il biglietto lo abbiamo pagato e quindi ormai se ci piace o meno sono fatti nostri (Blunt vero capitalista). Dura poco lo scherzo, ed inanella Carry You Home, Goodbye My Lover, High, la condanna a morte di You’re Beautiful, Same Mistake. Folla in visibilio e puro canto, tanto che a volte non canta neanche James, sta lì, esaltatissimo e compiaciuto. Del resto, poteva anche fare due canzoni nuove, era silente dal 2019, saremmo andati comunque a rivederlo e sentirle tutte, una dopo l’altra. Il signor Blunt puó darsi diverse pacche sulla spalla.
Due. Il pop dolce dei good guys conquista ancora. È forse inconsciamente relegato a un cassetto mentale di ricordi dell’adolescenza altamente ormonale di quegli anni, fatta principalmente di storie tra vicini di casa. Ma è anche qualcosa a cui siamo profondamente legati, con cui siamo cresciuti, prima di approdare alla libera (ci piacerebbe) maturità emozionale che cerchiamo oggi. È un rigurgito dello stereotipo adolescenziale di stampo patriarcale (aka, lui che scrive canzoni per lei) a cui guardiamo con tenero imbarazzo, lo stesso che cerchiamo di nascondere sotto la frase “bei tempi” quando ridanno Dawson’s Creek? Se me lo chiedevate ieri vi avrei liquidati con una frase acida, troppo presa a cantare, e James probabilmente avrebbe tirato fuori una risposta simpatica che vi avrebbe neutralizzato.
Ma non c’è solo questo e lo sappiamo. Who We Used To Be, ci insegna James, è il disco della maturità, quella vera, a parte tutti gli scherzi. E infatti troviamo tracce piu impegnate, come Dark Thought, dedicata a Carrie Fisher, venuta a mancare tempo fa e molto amica di Blunt (giusto per rimanere nel loop di cose incredibili che forse non immaginereste da questo ragazzo di Tidworth, neanche troppo attento al tabloid) o The Girl That Never Was, una canzone scritta a una figlia mai avuta, e la struggente Monsters dedicata al padre malato. E nello show c’è spazio anche per i feat senza partner, OK con Robin Schulz ne è un esempio. Dice di se stesso: volevo essere una rockstar invece sono diventato una popstar, e alla fine va bene così, anche perché si sottovaluta troppo spesso la libertà che solo il pop può darti. È vero James, hai vinto tu anche su di me che ti guardo sospettosa. Non so chi diavolo sei, ma sono felice di unirmi alla B List.
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JAMES BLUNT – La scaletta del concerto di Milano
Beside You
Saving a Life
Wisemen
Carry You Home
All the Love That I Ever Needed
Dark Thought
Goodbye My Lover
Glow
High
The Girl That Never Was
Postcards
I Won’t Die With You
Coz I Luv You (Slade cover)
You’re Beautiful
Same Mistake
Stay the Night
OK (Robin Schulz cover)
Encore:
Monsters
Bonfire Heart
1973
Giuliana
04/03/2024 at 09:31
Serata indimenticabile..canzoni con testi importanti e bella musica che ricordano i veri valori…il padre, i figli e l’ amica persa..bellissima voce, uomo semplice e di gran classe( gentlaman). Grazie James… mi hai regalato grandi emozioni.