Articolo di Matteo Pirovano | Foto di Roberto Finizio
Sin dagli albori dei tempi l’uomo si è interrogato sulla natura stessa della realtà.
Apparire o essere? Pirandello era ossessionato dal quesito e gran parte dei suoi scritti vertevano su questo. Indossiamo delle maschere? Chi siamo veramente? Siamo persone o personaggi? Batman ricorre al travestimento per occultare la sua persona. Superman, al contrario, lo sveste per ottenere la sua maschera da “uomo comune”.
Paul Stanley e Gene Simmons sono in giro da così tanto tempo che le loro identità sono ormai legate a doppio filo a quelle dei loro bizzarri personaggi di scena, tanto da confondere questa realtà. Dietro quelle maschere si celano uomini che viaggiano spediti verso i 70 anni, ma sul palco quei personaggi non hanno tempo, sono immortali icone che continueranno a vivere nell’immaginario comune, qualunque cosa accada agli uomini che danno loro vita.
Ho uno sbiadito ricordo di una loro intervista di una ventina di anni fa nella quale i due leader sostenevano che i KISS non sarebbero finiti con loro. I loro alter ego sarebbero stati portati avanti da altri che avrebbero continuato il loro progetto, la loro iperbole artistica, negli anni a venire.
Mi domando quindi se questo End Of The Road Farewell Tour sia il commiato degli uomini o delle icone.
Partito a gennaio di quest’anno il tour è arrivato alla sessantacinquesima tappa (saranno un centinaio in tutto), registrando sold-out ovunque, vendendo una milionata di biglietti e introitando cifre da capogiro tra ingressi e merchandise, vero pallino della band sin dagli inizi.
La data di Milano è stata molto partecipata ma, ad onore di cronaca, ben lontana dal tutto esaurito. La KISS ARMY (così viene chiamato il popolo che da 45 anni segue fedelmente la band) ha preso d’assalto la città sin dalle prime ore della giornata. Orde di persone truccate si sono aggirate per l’area dell’ippodromo come parte di una parata che ha coinvolto almeno tre generazioni. Numerosissimi i bambini che hanno partecipato alla festa con gli occhi sgranati tipici di chi sta guardando qualcosa di magico e inaspettato.
Fuochi d’artificio, laser, fiamme alte sino al cielo, esplosioni di coriandoli. Lo show dei KISS è tutto ciò, visivamente imbattibile sin dalle prime note dell’iniziale Detroit Rock City che ha visto la band atterrare sul palco da delle piattaforme rialzate.
I loro detrattori li hanno spesso accusati di essere eccessivi, kitsch e grotteschi e di essere la parodia di una rock band.
Io stesso ammetto di essere di fatto più affascinato dalla natura intima dei performer, dall’introspezione degli stessi e da quel contatto così sottile che si crea tra artista e pubblico. Anche nella sfera cinematografica sono tendenzialmente uno dai gusti più affini ai film del Sundance, ma non si vive solo di quello.
Ogni tanto, in contrapposizione ai vari crepuscolari film d’autore, un bel disaster movie pieno di effetti speciali ci sta. Ecco, i Kiss sono tutto questo, un film pieno di effetti speciali che non ti stanca neppure per un minuto, un’auto lanciata a 300 km all’ora in mezzo alle fiamme. I KISS sono l’Independence Day del rock, per citare una delle prime pellicole di successo del genere.
Raramente mi capita di assistere a show nei quali la noia è un elemento totalmente assente.
Vi assicuro che quello dei KISS è uno show di due ore che occupa ogni istante senza stancare mai, staresti lì in adorazione per tutta la notte chiedendone ancora e ancora.
I classici ci sono tutti, dall’iniziale Detroit Rock City alla conclusiva Rock And Roll All Nite. Una setlist che, come al solito, ha lasciato poco spazio alle sorprese. D’altronde lo dicono i KISS stessi in apertura di ogni loro concerto: You Wanted the Best, You Got the Best!! E così è stato, una setlist rappresentativa di un’intera carriera. Lick It Up, le asce coordinate di Paul, Gene e Tommy su Deuce, il possente giro di basso di 100,000 Years, la trascinante Love Gun, una monumentale God Of Thunder con Gene salito in cielo sino a sfiorare il montante alto del palco. E poi ancora il consueto momento shock rock con il sanguinamento di Gene, una carrucola che ha fatto volare Paul dal palco sino al mixer per intonare l’inno I Was Made For Lovin’ You, a stretto contatto con la KISS Army in adorazione sotto di lui. Una canzone che andrebbe infilata in una capsula del tempo per spiegare alle generazioni future cosa fosse il rock in queste decadi, una canzone che fa ormai parte del testamento del rock su questo pianeta.
Una nota a parte per la prova di Eric Singer, troppo spesso ingiustamente criticato, autore di una performance vocale ottima su Black Diamond e da pelle d’oca sulla power ballad Beth, suonata in solitaria al piano.
Due ore di musica suonata ad altissimo livello. Ace e Peter non fanno più parte dello psycho circus ma Tommy e Eric indossano con orgoglio e dignità le proprie maschere a conferma che i KISS sono qualcosa di più di una semplice rock band.
Il saluto finale si consuma a suon di botti, fuochi d’artificio e montagne di coriandoli che scendono come neve dal cielo sulle note registrate della meravigliosa God Gave Rock ‘n’ Roll to You II che ci scorta fuori dall’ippodromo.
Un bambino cerca di acchiappare uno dei coriandoli che ancora svolazzano liberi nell’aria, il suo amico suona estasiato un’immaginaria batteria sventolando in cielo bacchette che non esistono. Chissà se questi bambini saranno le rockstar di domani, magari influenzati proprio dalla visione di questo spettacolo di Milano. Io sono troppo vecchio per diventarlo, ma magari chissà… ci sono un paio di maschere che stanno giusto giusto per liberarsi.
Clicca qui per vedere le foto dei KISS a Milano (o sfoglia la gallery qui sotto).
KISS – La scaletta del concerto di Milano
Detroit Rock City
Shout It Out Loud
Deuce
Say Yeah
I Love It Loud
Heaven’s on Fire
War Machine
Lick It Up
Calling Dr. Love
100,000 Years
Cold Gin
God of Thunder
Psycho Circus
Let Me Go, Rock ‘N’ Roll
Love Gun
I Was Made for Lovin’ You
Black Diamond
Beth
Crazy Crazy Nights
Rock and Roll All Nite

