Foto di Federico Buonanno | Articolo di Giulio Taminelli
Strana serata, quella del 19 Febbraio all’Alcatraz di Milano.
Due gruppi spalla, i Malevolence e gli Obituary, palesemente orientati verso il death metal (in particolare i secondi per motivi legati alla storia stessa del genere) e due co-headliner, ovvero gli Heaven Shall Burn e i Trivium, che spaziano tra thrash e metalcore.
Mi avessero raccontato di un evento simile quindici anni fa non ci avrei creduto.
Ma non perdiamo tempo. Il concerto è lungo e le cose da dire sono tante.
Malevolence
Band Inglese attiva dal 2010 ed attualmente impegnata nel tour promozionale di Malicious Intent, terzo album della formazione ed ennesima riprova che questi ragazzi non sbaglierebbero un colpo nemmeno se volessero farlo di proposito.
Ad aprire le danze è proprio la title track Malicious Intent e la prima cosa che risalta è la batteria di Charlie Thorpe, potente e secca come se qualcuno stesse tirando colpi a delle lastre di compensato.
Josh Baines e Konan Hall spingono prepotentemente con le loro chitarre, supportati da Wilkie Robinson e i suoi pesantissimi giri di basso. Alla voce principale, Alex Taylor, rimane un solo compito: fomentare il più possibile il pubblico per spingerlo a pogare e ad urlare.
Seriamente, questo gruppo è una macchina da guerra e lo ha dimostrato in ogni singolo pezzo dell’esibizione.
Purtroppo il tempo è tiranno, soprattutto per i gruppi spalla, per cui la performance dei Malevolence comprenderà solo sette brani, cinque dei quali tratti dall’ultimo album. Nonostante ciò, il pubblico è stato particolarmente coinvolto, al punto da rispondere in massa alla chiamata per il circle pit da parte di un Alex Taylor evidentemente emozionato e sorpreso dall’atmosfera creatasi.
Da segnalare in scaletta la bellissima Higher Place, decisamente più lenta e melodica ma che riesce ad amalgamarsi benissimo anche con tracce più brutali.
In conclusione: I Malevolence hanno bisogno di un tour da headliner. Sono decisamente pronti per il grande passo.

Obituary
Nemmeno il tempo di prendermi una birra che sul palco cominciano ad apparire loghi degli Obituary.
Ci sarebbero tantissime cose da dire su questo gruppo, colonna portante della corrente death metal americana degli anni ‘80 al pari di Cannibal Corpse e Death.
Per parlare di storia recente, possiamo dire che la formazione presente alla serata è quella che ha dato vita agli album Inked in Blood del 2014, Obituary del 2017 e Dying of Everything pubblicato il mese scorso, ovvero con i fratelli John e Donald Tardy a voce e batteria, Trevor Peres alla chitarra ritmica, Terry Butler (ex Death ed ex Six Feet Under) al basso e Kenny Andrews alla chitarra solista.
Le luci in sala si spengono e il giro di chitarra di Redneck Stomp da il via ad uno dei concerti più death metal old style che io abbia mai visto. Zero fronzoli, zero presentazioni, solo chitarre distorte e urla. Tra un pezzo e l’altro i chitarristi girati verso i propri amplificatori per regolare effetti e accordatura. Poche frasi dette al pubblico ma sufficienti a surriscaldare l’atmosfera. Normalmente prediligo gruppi con un’impostazione più scenografica, ma gli Obituary fanno eccezione perchè questo è il modo di suonare della loro generazione e questo è ciò che il pubblico vuole da loro.
Man mano che il concerto continua, mi rendo conto che molte delle tracce presentate appartengono agli ultimi dieci anni di carriera della formazione, ovvero quelli con sonorità un po’ più moderne. Probabilmente l’intento è quello di rendere migliore l’amalgama con i tre brani dell’ultimo album proposti in scaletta, però ammetto che mi sarebbe piaciuto sentire qualche pezzo storico in più. La consolazione arriva sul finale con I’m in Pain, traccia proveniente da The End Complete del 1992.
Insomma gli Obituary, a distanza di quasi quarant’anni, riescono ancora a dare spettacolo. Promossi a pieni voti.

Heaven Shall Burn.
Arriviamo ora al primo dei due headliner della serata.
Gli Heaven Shall Burn sono probabilmente una delle colonne portanti del Metalcore moderno. Nati in Germania a fine anni ‘90, vantano nove album studio e molteplici collaborazioni con gruppi del calibro di Caliban, Napalm Death e Trivium.
L’esibizione si apre con Hunters Will Be Hunted, celebre pezzo dell’album Veto del 2013 che, grazie alla sua introduzione strumentale, dà tempo al cantante Marcus Bischoff di salire sul palco e godersi l’ovazione del pubblico.

Superato lo shock per la camicia rossa di Bischoff alla Lupin III (marchio di fabbrica della band), posso finalmente concentrarmi sullo spettacolo e, devo dire, che non l’ho trovato estremamente convincente.
Se nelle prime due Band avevamo una scelta di stile molto netta sia nel genere che nei suoni stessi, la sensazione che ho avuto è stata quella di un concerto in qualche modo “ovattato”. L’unico ad esibirsi davvero era il cantante e il pubblico era sì entusiasta, ma solo perchè composto da fan sfegatati che sapevano a memoria i testi, non certo per ciò che stavano guardando.

Per quanto riguarda la composizione della scaletta, nulla da recriminare. Dodici pezzi ben selezionati con le giuste pause per poter discutere con il pubblico e dar modo alla band di riprendere fiato. Nonostante la quasi totalità delle tracce provenisse da Of Truth and Sacrifice del 2020, è stata suonata almeno una canzone per ogni singolo album (o quasi).
Resta il rammarico di aver assistito ad un concerto alleggerito di due pezzi rispetto alla scaletta proposta negli scorsi mesi in centro Europa.
Al di fuori di pochi brani, uno su tutti Black Tears (cover degli Edge of Sanity), la sensazione generale è che gli Heaven Shall Burn in questo evento si siano limitati a “timbrare il cartellino”.

Trivium.
Veniamo ora al pezzo forte della serata, i Trivium.
Definiti dalla stampa di settore Americana i “Metallica del duemila” e orbitanti attorno alla figura dell’istrionico Matt Heafy, I Trivium vantano, oltre ad una schiera infinita di ex membri (soprattutto batteristi) dieci album studio pieni di capolavori che li hanno resi indubbiamente uno dei gruppi più famosi ed influenti nella musica moderna.
Il sipario tirato a nascondere il palco durante la fase di cambio gruppo denota l’attenzione ai particolari che la formazione statunitense ha sempre avuto durante le esibizioni.
Proprio questo sipario, lasciato cadere sull’attacco di batteria di Rain, ci mostra la scenografia in stile orientale preparata per l’occasione. Statue di draghi ai lati del palco, porte Torii dietro e davanti alla batteria ma, soprattutto, un enorme fondale in cui, sempre con stile orientale, sono rappresentati un drago e un samurai che si scontrano.

Matt Heafy decide di vincere la competizione per la peggior camicia della serata presentandosi sul palco con un appariscente quanto pacchiano capo di vestiario orientaleggiante con fantasie draconiche gialle/blu e colletto alla coreana.
Fortunatamente per gli occhi dei presenti, toglierà quella… “cosa” alla terza canzone.
Tolto questo, Heafy si rivela un vero e proprio animale da palcoscenico, in grado di sfidare la folla e, per assurdo, costringerla a saltare per dimostrare di essere “un pubblico migliore di quello portoghese”.
A parte un tentativo maldestro di far partire un circle pit con l’alcatraz alla sua massima affluenza (impossibile per spazi ma, soprattutto, pericolosissimo per l’incolumità dei presenti), in generale sono contento che il pubblico sia sempre stato tenuto in alta considerazione.

La scaletta, stranamente, conteneva una sola traccia dell’ultimo album In the Court of the Dragon (la traccia era Feast of Fire) Dando invece molto più spazio agli album “storici” e proponendo almeno un pezzo per ogni disco.
Fantastica la presenza di più postazioni microfono sul palco, messe in modo da permettere al cantante di correre come un pazzo senza smettere di cantare.
Ecco, appunto, il canto.
Matt… che ti succede? Se nel canto sporco riesci ancora a dir la tua, appena pulisci la voce ti partono delle steccate assurde!
Seriamente, ci son stati dei momenti di canto pulito in cui tra il pubblico si notavano chiaramente sguardi perplessi.
In ogni caso, per i fan è stato sicuramente un buon concerto, con due tracce in più rispetto al solito (ecco dov’erano finite le due tracce mancanti degli Heaven Shall Burn) e tanto spettacolo.

Uscendo dall’Alcatraz, però, non posso non pensare a quanto, al netto di preferenze di genere musicale e stile, i Malevolence e gli Obituary abbiano portato un’esibizione decisamente migliore rispetto agli headliner e, devo ammettere, una piccola parte di me si è chiesta come sarebbe potuto essere il concerto se fosse stato invertito l’ordine dei gruppi.
Clicca qui per vedere le foto di Trivium + Heaven Shall Burn + Obituary in concerto a Milano o sfoglia la gallery qui sotto
Heaven Shall Burn – la scaletta del concerto di Milano
Hunters Will Be Hunted
Bring the War Home
Übermacht
Voice of the Voiceless
March of Retribution
Thoughts and Prayers
Behind a Wall of Silence
Profane Believers
Black Tears
Endzeit
Corium
Tirpitz
Trivium – la scaletta del concerto di Milano
Rain
Shattering the Skies Above
Strife
Amongst the Shadows & the Stones
A Gunshot to the Head of Trepidation
Feast of Fire
Like Callisto to a Star in Heaven
Down From the Sky
Catastrophist
Until the World Goes Cold
To the Rats
The Heart From Your Hate
In Waves
Pull Harder on the Strings of Your Martyr
Malevolence
Malicious Intent
Life Sentence
Still Waters Run Deep
Self Supremacy
Higher Place
Keep Your Distance
On Broken Glass
Obituary
Redneck Stomp
Sentence Day
A Lesson in Vengeance
Visions in My Head
The Wrong Time
Don’t Care
My Will to Live
Dying of Everything
I’m in Pain

Kun
21/02/2023 at 10:36
Io sinceramente non capisco come sia possibile fare solo una canzone del nuovo album. Cioè il nome del concerto stesso richiama in the court of the dragon e mi fate solo una canzone dell’album (per giunta una delle più balorde)?!?!
Perché aprire con rain? Che senso ha???? To the rats poi è sembrata una vera e propria presa per i fondelli…
Come si fa a non fare a crisis of revelation e in the court of the dragon?