Articolo di Jennifer Carminati | Foto di Andrea Ripamonti
Il The Return Of The Gods Festival inizia oggi, domenica 2 luglio 2023, all’Arena Joe Strummer di Bologna, un anfiteatro naturale utilizzato principalmente per concerti all’aperto che fu sede dell’Independent Days Festival dal 1999, ora spostato a Milano. Per questa unica data italiana i Pantera, la leggendaria formazione americana dopo ben 22 anni torna a farci visita in questo festival di puro heavy metal con una ricchissima line-up che purtroppo vedrà perdere all’ultimo i Behemoth, causa cancellazione dei voli da Varsavia. Questo ha comportato un allungamento delle setlist degli ultimi gruppi oltre che maggiori tempi di pausa ma nulla di più, Vertigo anche in questa occasione ha saputo compensare bene l’accaduto che ha ovviamente comunque avuto ripercussioni umorali sui numerosi fan accorsi per la band polacca che ha promesso di farsi perdonare presto dal pubblico italiano, e noi li aspettiamo a braccia aperte, magari con uno sconto sul biglietto per chi ha quello di oggi non sarebbe male come idea.
Quella di oggi è quindi per moltissimi metalheads un’occasione imperdibile per celebrare la carriera di una delle più influenti e iconiche band della musica pesante e rendere omaggio alla memoria dei compianti e mai dimenticati fratelli Abbott, Dimebag Darrell e Vinnie Paul. Riascoltare dal vivo canzoni che hanno fatto la storia dell’heavy metal e vedere sullo stesso palco leggende viventi come Phil Anselmo e Zakk Wylde, vi assicuro, è un’emozione indescrivibile che ho avuto la fortuna di vivere qualche settimana fa al Graspop Metal Meeting (a proposito, se non ancora fatto andate a leggervi i miei live report) e che con enorme piacere mi appresto a rivivere oggi in questa Arena Parco Nord caldissima sotto tutti i punti di vista. A tal proposito, non voglio fare nessuna polemica, ok l’acqua gratis che comunque dovrebbe essere il minimo garantito in un festival, ma qualche water point in più sarebbe servito per evitare le lunghissime code presenti anche all’unico punto doccia presente; per le zona d’ombra che dire, farebbe piacere ci fossero aree dedicate per riposarsi un attimo dal sole battente e capisco non sia possibile piantare alberi ma aggiungere qualche stand apposito credo si possa fare tranquillamente. Seguire un festival dall’ora di pranzo a mezzanotte con temperature e giornate come quella di ieri fisicamente è estenuate, ve lo posso assicurare, basterebbe un poco di più a volte per rendere il tutto più vivibile e far felice la gente che per passione e amore della musica live spende soldi, macina chilometri e a volte prende persino ferie per poterlo fare. Detto questo la giornata è filata liscia, dall’orario di apertura le file all’ingresso sono state fluide e smaltite velocemente e appena entrati nell’area si trovava l’area ristoro con teloni e panche dove potersi sedere. E poi ci si poteva addentrare o meno nell’area concerti, a seconda dell’interesse o meno per la band sul palco. Premessa doverosa, oggi ho seguito il festival dal PIT e vi posso garantire che è tutt’altra cosa, essere a pochi metri dal palco in un contesto del genere, ti fa vivere l’esperienza in maniera diversa, quindi mi capirete se non sarò precisa nello scrivere ma gli appunti non ho avuto proprio modo di prenderli, mi son goduta appieno tutti i concerti e ora provo a raccontarvi l’emozione provata in questa esperienza fantastica che è stato il The Return Of The Gods Festival a Bologna, si replicherà il 15 luglio a Milano con gli Iron Maiden come headliner.

SADIST
I Sadist salgono sul palco alle 12.15 in punto e nonostante sia molto presto e il sole a picco sulle nostre teste il pubblico è già presente in maniera piuttosto numerosa e il combo genovese farà strage di consensi confermandosi una band simbolo della scena death metal italiana, capace di distinguersi nel marasma grazie a un album iconico come Above The Light (1993). Il frontman Trevor offre come sempre una prestazione magistrale con un impatto scenico devastante. La scaletta proposta ha alternato sapientemente pezzi tiratissimi a brani estremamente tecnici proprio in stile Sadist, con il chitarrista e tastierista Tommy Talamanca che è veramente una gioia per le orecchie. La loro performance mi ha convinto, sebbene io sia affezionata alle sonorità dei primi album e il sound degli ultimi anni mi piaccia meno, sul palco sono una garanzia e riescono ad avere suoni grossi e pieni, creando il muro sonoro adeguato al genere proposto e tutto questo fa sì che, come inizio di giornata, direi che partiamo alla grande..

VEKTOR
Giusto il tempo di un veloce cambio palco e il primo di tanti refill del bicchiere plastic free di acqua fresca e tocca ai Vektor irrompere sul palco; band thrash metal americana guidata da David DiSanto, che negli anni ha conquistato sempre più consensi e aumentato la propria fanbase anche qui da noi grazie a un’eccezionale capacità tecnica-compositiva che dal vivo ha un impatto sonoro dal mordente assicurato. Ero curiosa di vederli e son stata più che soddisfatta perché sul palco mettono in piedi un live pressoché perfetto, mezz’ora in cui nulla è lasciato al caso, e dopo la quale ne vorresti ancora dei loro riff serratissimi, tecnicissimi sì, ma mai con virtuosismi fini a sé stessi. Avremmo tutti sperato in una durata leggermente più consistente anche della loro scaletta, ma considerando la dose massiccia di legnate che sono volate durante questi trenta minuti ci riteniamo tutti più che soddisfatti. Se ne vanno tra gli applausi dei fan entusiasti che non hanno mai smesso di incitarli e applaudirli e sinceramente spero quest’autunno tornino a farci visita per uno show tutto loro come meritano, a cui sicuramente non mancherò. E poi che dire, umanamente simpaticissimi e alla mano, è stato bello vedere David DiSanto e il bassista Stephen Coon sorridenti ed evidentemente felici di stare tra il pubblico subito dopo la loro esibizione per seguire il resto del festival.

FLESHGOD APOCALYPSE
Dopo questo inizio all’insegna del death e trash metal cambiano di nuovo genere e ci apprestiamo ad ascoltare un’ora circa del symphonic death metal di cui i Fleshgod Apocalypse si fanno portavoce. Tra le band italiane maggiormente apprezzate a livello internazionale, i nostri fanno capolino su un palco messo a punto in maniera impeccabile, con l’immancabile pianoforte suonato da Francesco Ferrini e vicino a esso la postazione rialzata da cui la soprano Veronica Bordacchini osserva con fierezza quanto accade dinnanzi a lei, e dove, tra un suggestivo vocalismo lirico e l’altro, trova il tempo per interagire con un pubblico sempre più numeroso oltre che caloroso. Il poliedrico Francesco Paoli si dimostra sempre bravissimo, rendendo alla perfezione con chitarra e voce growl, e non è certo da meno il fondamentale contributo della seconda chitarra dell’ineccepibile Fabio Bartoletti e che dire di quel rullo compressore vivente dell’ucraino Eugene Ryabchenko alla batteria, furente come non mai e impeccabile come sempre. Nel tempo a loro disposizione ci propinano una scaletta che al solito alterna pezzi più datati ai nuovi, con un fattor comune che è la loro grinta unita alla teatralità anche nei costumi di scena utilizzati dai nostri, davvero molto bravi, nonostante i miei timori iniziali, visto che alla lunga una proposta come la loro personalmente mi annoia, il tempo è scorso velocemente a dimostrazione che se sai intrattenere e coinvolgere il pubblico ti segue anche se, come nel mio caso, non conosce le canzoni e normalmente a casa non ascolta i tuoi album.
Come ho già detto in diversi miei report, in Italia abbiamo delle ottime band che a differenza di molte altre straniere più blasonate, riescono a sorprendere enormemente dal vivo rendendo ancora meglio che su disco e noi tutti dovremmo supportare sempre più queste nostre valide realtà; quando riusciremo ad accorgercene davvero di questo potenziale enorme che abbiamo tra le mani, secondo me, la scena metal italiana cambierà completamente, e sarebbe davvero ora che succedesse, che dite mi date una mano in questo?
La presenza di gruppi italiani termina qui e ora iniziamo a salire sempre più la scaletta della popolarità e del successo in questo The Return Of The Gods Festival rovente sotto tutti i punti di vista.

CORONER
A differenza delle band precedenti, gli svizzeri Coroner rimangono ancorati al loro passato poiché, discograficamente parlando, sono fermi dal 1993, ma questo 2023 dovrebbe vedere la pubblicazione di un nuovo full-lenght che i fan attendono con ansia. Anche loro sono un gruppo di culto della scena thrash metal, autore di autentici capolavori come Mental Vortex del 1991 e Grin del 1993, vere e proprie pietre miliari del genere che tutti dovremmo avere in casa; nonostante questa poca proficuità discografica non mancano certo i pezzi con cui riempire l’ora di tempo a disposizione, suoneranno pezzi estrapolati da tutti e cinque i loro lavori in attesa come detto del nuovo materiale. I Coroner con il loro sound ti trascinano in un vortice al limite del paranoico, claustrofobico come i numerosi circle pit che si vengono a creare tra la folla che riempie le prime file. Il loro è un ritmo serrato, riff incalzanti in un crescendo continuo smorzati a volte da piccoli rallentamenti che ci permettono di riprendere fiato, grazie anche ai vari e meritati assoli di Tommy T. Baron, chitarrista superlativo, detto da chi se ne intende, non certo da me che mi limito ad essere un’ascoltatrice e non sono certo una musicista in grado di poter dare giudizi troppo tecnici. In Serpent Moves sul videowall alle loro spalle un rettile si muove sinuosamente in cerchio creando un effetto quasi ipnotico come sanno fare i loro riffing e strofe che serpeggiando ci portano al ritornello dove la voce ineccepibile di Ron Royce irrompe senza lasciarci vie di scampo. A distanza di trent’anni dalla loro realizzazione i brani proposti dai Coroner risultano essere ancora freschi nella loro sperimentazione, con commistioni di rock, metal e psichedelia progressive dallo stile inconfondibile figlio di un metal d’altri tempi indubbiamente, ma che riproposto ai giorni nostri come loro sanno fare è ancora tanta, tantissima roba. Aspetto con ansia di ascoltare il nuovo materiale, e magari perché no, rivederli live come headliner, non sarebbe affatto male.

ELEGANT WEAPONS
Molti erano i fan accorsi quest’oggi a vedere il supergruppo Elegant Weapons formato dal cantante dei Rainbow Ronnie Romero, dal chitarrista dei Judas Priest Richie Faulkner, dal bassista degli Uriah Heep Dave Rimmer e dal batterista degli Accept Christopher Williams. Io sicuramente non ero tra questi, non amo questo genere di iniziative, fatte a mio parere con l’unico scopo di lucro, ma questo è il mondo della musica purtroppo a volte. Sono le 16 quando arriva il momento di vedere e ascoltare cosa il quartetto ha in serbo per il pubblico italiano che li vede salire sul palco per la prima volta a proporre il loro album, Horns For A Halo, uscito la scorsa estate e qualche cover. Le loro canzoni sono pesanti ma con melodie orecchiabili, voce potente ma con molta melodia e molti assoli di chitarra, pure troppi a mio gusto. Questo progetto è fatto da artisti di grande calibro certamente che portano avanti le sonorità delle rispettive band di origine, a volte andando leggermente al di fuori dei confini dell’heavy metal classico. Si divertono sul palco e questo arriva al pubblico con il carismatico frontman che si diletta in numerosi siparietti cercando di imparare qualche parola in italiano che vada al di là delle solite bestemmie, però boh, io li trovo la voce fuori dal coro in questo festival, e visto che per quanto mi riguarda, pesante e orecchiabile nella stessa frase non ci possono stare, mi fermo qui.

KREATOR
Finalmente il sole sta calando e quando tocca ai Kreator salire sul palco e saranno solo, si fa per dire, le fiamme dell’inferno a scaldarci. Scenografia tipica dei loro spettacoli, con bambole impalate, diavoli e simboli satanici ovunque e soprattutto tanta tanta ferocia che ci assale da subito con Hate Über Alles a dare il via alla distruttiva prestazione di Mille Petrozza e soci. Il fatto di trovarsi di fronte una band simbolo del più spietato e intransigente trash metal degli anni ’80 oltre che il vedere da subito la voglia di esserci su quel palco e di farci male espressa dai Kreator ha portato il pubblico ad essere protagonista per tutta la durata del loro show di walls of death, circle e mosh pits devastanti oltre che poghi violenti, cosa che per altro, che ve lo dico a fare, succederà per tutte le ore che verranno. La band è in gran forma e gode di suoni definiti e dalla potenza impressionante, tutti elementi che contribuiscono ad alimentare l’assalto frontale di cui il quartetto tedesco ci darà prova con una scaletta azzeccatissima che ha soddisfatto appieno i fan di vecchia data soprattutto. Enemy of God, 666 – World Divided, e, Satan Is Real, cantata a squarciagola da tutti, non lasciano scampo così come Phantom Antichrist, vero e proprio inno presente in ogni loro show. Questa collaudatissima macchina tritasassi tedesca ci propone un pezzo dopo l’altro senza pausa alcuna e ognuno di essi è un tripudio di riff sparati alla velocità della luce, ritmi tiratissimi e altrettanto precisi guidati da un Ventor scatenato dietro le pelli coadiuvato nella sezione ritmica al basso da Frédéric Leclercq ed un Sami Yli-Sirniö alla chitarra, tasselli tutti fondamentale nell’assetto da guerra del gruppo teutonico. Il colpo di grazia ci viene dato con il trittico finale Violent Revolution, Flag Of Hate e Pleasure to Kill con un Mille che ci scartavetra la pelle per un’ultima volta con la sua voce corrosiva e abrasiva come poche. I Kreator sono disarmanti e anche questa volta con il loro spettacolo di grande intensità e violenza danno prova di essere maestri nel loro genere e prima di scendere a malincuore dal palco non mancano di ringraziare numerose volte il pubblico presente per loro e li ringrazia per l’attaccamento sempre dimostrato dal nostro paese (Mille è di padre calabrese come lui spesso racconta) nei loro confronti. Che altro dire se non chapeau.
Ed eccoci, finalmente ci siamo, il grande momento è arrivato. Il pit si riempie serratissimo e tutto il pubblico che magari fino a poco fa era ancora sdraiato sulle collinette scende e si avvicina al palco per assistere a quello che è un vero e proprio Evento.

PANTERA
Philip Anselmo, Rex Brown, Zakk Wylde e Charlie Benante sono i nuovi Pantera. Questo è un dato di fatto, e lasciamo da parte le critiche sulla loro reunion che per molti avrebbe dovuto chiamarsi in altro modo, visto che i Pantera, lo sappiamo tutti noi che li seguiamo da sempre, son stati fondati nel 1981 dai fratelli Abbott. I due Musicisti chiamati a “sostituirli”, e la maiuscola è voluta, hanno sin da subito promesso di suonare il più fedelmente possibile all’originale e questo è stato fatto anche questa sera nel totale rispetto e ricordo di chi non è più tra noi ma ha lasciato un segno indelebile in questo genere musicale. In queste due ore verrà ripercorsa la carriera di una delle band più influenti dell’heavy metal, che negli anni Novanta è diventata un punto di riferimento della scena grazie ad album come Cowboys From Hell, Vulgar Display Of Power e Far Beyond Driven e la loro concezione assolutamente personale del thrash. Sono le 21 quando il telone con il loro nome scritto a caratteri cubitali cala e dopo la riproduzione di un video con le immagini storiche della band l’urlo di saluto di Phil Anselmo che scaturisce dalle casse mette immediatamente in chiaro gli intenti della band: ci aspettano due ore di ritmiche serrate e di un Anselmo che, con la sua voce dal caratteristico timbro, spazza via senza pietà tutto ciò che si oppone al suo furibondo girovagare scalzo su quel palco che sembra voler aggredire quasi fisicamente ad ogni passo.

Alla sua destra l’amico Rex Brown al basso, Charlie Benante dietro le pelli e poi c’è lui, il talentuoso e leggendario chitarrista Zakk Wylde che suona le sue sei corde in un’escalation di assoli irripetibili e di serratissimi riff che sono entrati nella storia e trascinano il pubblico in moshpit e stage diving continui; tutti i brani dei Pantera posseggono un’incredibile carica che si riversa su un pubblico davvero instancabile quest’oggi e che ripaga in maniera incommensurabile l’energia e la passione che gli arriva dal palco. In una parola sola: rabbia. Se dovessi riassumere il sound dei Pantera userei proprio questa. Si, c’è violenza, cattiveria, aggressività ma la rabbia è il sentimento che si scatena senza freni nelle loro canzoni. Tutto questo scaturisce senza trovare ostacoli nella veemenza con la quale i nostri ci propongono i riff capolavoro di Becoming e I’m broken. nella travolgente velocità di Fucking Hostile, ma anche nelle cupe e malinconiche melodie di This Love dopo le quali ci sentiamo svuotati da ogni sentimento, devastati da un’interpretazione superlativa di Anselmo. Momento di commemorazione ai fratelli Abbot con la riproduzione di un altro video accompagnato dalle splendide note di Cemetery Gates su cui scrosciano applausi e pure qualche lacrima di sentita commozione, perché si, il metallaro ha il cuore tenero eccome, e i sentimenti, quelli veri, non hanno genere musicale.
Nella scaletta trova spazio anche la splendida cover di Planet Caravan apprezzatissima dal pubblico seguita da un momento allegro in cui intoniamo tutti insieme un Happy Birthday to You al buon Phil che lo scorso 30 giugno ha compiuto 55 anni e che si appresta sul palco a spegnere le candeline su di una torta che avrà sicuramente mangiato dopo insieme a tutta la sua Crew che ha omaggiato facendola salire sul palco per la foto finale. E ci siamo, trittico finale devastante e micidiale che ci esaurisce definitivamente le energia e toglie la voce completamente: Walk cantata con i membri del Kreator saliti sul palco, Domination / Hollow e Cowboys from Hell. Brevissima pausa e Yesterday Don’t Mean Shit segna la fine di questo concerto che entrerà nei libri di storia del metal, ne sono certa.
Il sound dei Pantera è feroce e irruento, proprio come il suo Frontman, Phil Anselmo, una vera icona nel mondo heavy metal, che con la sua energia devastante ci ha regalato un live sopra le aspettative, alla faccia degli scettici e di tutte le polemiche sorte alla notizia di questa reunion. Se c’eravate oggi potete confermare la mia opinione, ovvero che, Phil e Rex, non l’hanno fatto per soldi, ma per omaggiare davvero i compianti fratelli e a loro modo tenerli in vita portando in giro le canzoni che hanno segnato un’epoca.
Che piaccia o no, questo ora sono i Pantera, amateli od odiateli, seguiteli in tour o meno, ma dopo oggi non riuscirete mai più ad ignorarli, a voi la scelta.
Il The Return Of The Gods Festival per me finisce qui, e anche oggi me ne torno a casa stanca, sudata da far schifo e con qualche livido in più, perché il pit ha il suo effetto, ma contenta e con una soddisfazione immensa perché so di aver assistito ad un Evento epocale. Quanti potranno vantare di aver assistito alla Reunion dei Pantera nella loro vita? Io sì.
You can’t be something you’re not
Non puoi essere qualcosa che non sei
Be yourself, by yourself, stay away from me
Sii te stesso, da solo, stai lontano da me
A lesson learned in life
Una lezione imparata nella vita
Respect, walk
Rispetto, cammina
Clicca qui per vedere le foto del The Return Of The Gods Festival all’Arena Joe Strummer di Bologna (o sfoglia la gallery qui sotto)
PANTERA: la scaletta del concerto all’Arena Joe Strummer di Bologna
A New Level
Mouth for War
Strength Beyond Strength
Becoming (w/Throes of Rejection outro)
I’m Broken (w/”By Demons be Driven” outro)
Suicide Note Pt. II
5 Minutes Alone
This Love
Fucking Hostile
Cemetery Gates (First part only)
Planet Caravan (Black Sabbath cover)
Happy Birthday to You (Mildred J. Hill & Patty Hill cover)
Walk (with members of Kreator as backing singers)
Domination / Hollow
Cowboys From Hell
Yesterday Don’t Mean Shit

Benny
04/07/2023 at 22:33
Sottoscrivo la gran parte dell’articolo e sarò tra i primi a acquistare il biglietto con i Coroner come headliner e magari anche un ora di Vektor!