Articolo di Chiara Amendola | Foto di Roberto Finizio
Siamo onesti: la musica di Avril Lavigne è stata una parte fondamentale della mia adolescenza e, probabilmente, di tutti coloro che, come me, lo sono stati agli inizi degli anni zero. La sua capacità di possedere al contempo power ballad e quel pop/punk angoscioso è una peculiarità che ho sempre idolatrato. L’ho vista esibirsi sul palco di Mtv TRL, a Napoli, dopo un compito in classe di latino, aveva solo due pezzi in classifica ma il suo atteggiamento da non diva – nell’epoca delle teen pop star – aveva in qualche modo dato voce alla mia indole più anticonvenzionale, quella di ragazzina uno po’ spocchiosa che sarebbe venuta totalmente fuori poco dopo, durante un indimenticabile primo ascolto di “Is This it” degli Strokes. Ma di questo ne parlerò un’altra volta.
Il concerto al forum d’Assago è stato una retrospettiva delle sue molte fasi artistiche (e delle mie innumerevoli personalità): da ragazzina emo a popstar appariscente a cantautrice acustica e viceversa. La scaletta ha anche offerto uno sguardo su come la sua opinione sull’amore sia cambiata nel corso di sette dischi e di alcune esperienze di vita, e, inevitabilmente, mi ha fatto inciampare su come non si siano mai evolute le mie considerazioni sullo stesso argomento.
In effetti le relazioni sono state un territorio ampiamente fertile per la cantante di Belleville che ha pubblicato il suo primo album in classifica, “Let Go”, nel 2002 alla tenera età di 16 anni. I testi, che parlavano di innamorarsi di ragazzi skater, di evitare i poser e di lottare con le emozioni adolescenziali troppo forti, hanno colpito una generazione desiderosa di un idolo pop femminile con più sostanza e meno sex appeal artificiale.
Avril Lavigne emerge sul palco reggendo un bouquet di palloncini giganti con una inequivocabile minigonna tartan scintillante e gli immancabili anfibi neri.
Il concerto parte dal presente con “Bite Me” un pezzo che parla delle ripercussioni dell’infedeltà e delle relazioni sbagliate.
Colpita e affondata dopo 2 minuti, grazie Avril.
Mentre le sue prime canzoni sono scritte dalla prospettiva di un’adolescente che si strugge per l’emarginato della scuola, la sua nuova musica è tutta incentrata sulle vecchie fiamme che si diletta a detestare. Questo cambiamento di rotta va di pari passo con la sua vita privata. Dopo rotture e due divorzi ha sperimentato il lato meno romantico dell’amore e da giovane adulta canta di essere arrabbiata per questo.
Come biasimarla.
Nonostante un’immagine più patinata – il suo caratteristico eyeliner nero è rimasto, ma le cravatte e i larghi pantaloni cargo sono stati da tempo sostituiti da meches rosa e giacche di pelle – il ritorno dell’artista alle sue radici pop-punk è notevolmente più piccante e coinvolgente, quasi allo stesso modo del passato.
Che i suoi pezzi attuali piacciano al pubblico non c’è dubbio, ma basta osservare l’accoglienza del secondo brano “What the hell” per capire le aspettative della serata.
Avril si lancia disinvolta e con fare da bulla, da un lato all’altro del palco sparando letteralmente da un’arma, simile a un fucile, coriandoli sulla folla. Tutto succede tremendamente in fretta per un live che dura poco più d’un’ora senza che mai nessuno abbia il tempo di pensare ma solo godere questo indomito pathos.
Un solo revival non basta, il pubblico ne vuole di più, e chiama a gran voce “Complicated”, anticipata da un intro riconoscibilissimo e un po’ dilatato, che ha quasi ridotto i fan supplicanti all’arrivo della prima nota, e via così, in una setlist che non lascia rimpianti: da “My happy ending” a “Girlfriend”, passando per una cover di “All the small things” dei Blink 182 – giusto per affaticare la malinconia dei presenti – a “Sk8er Boi” intonata da cori quasi esausti.
Avril mette il pop nel punk anche se non è mai stata nemmeno lontanamente l’infernale che si immaginava di essere.
Stasera nel suo corpo minuto, si conferma un gigante.
Per il bis la cantante fa una selezione più lenta ma comunque potente: “Head Above Water” – che racconta la sua battaglia contro la malattia di Lyme – un brano quasi spirituale che mette in evidenza la sua gamma e la sua voce cristallina – e “Avalanche” una versione più matura di “Complicated” ma con un delizioso breakdown guidato dal synth.
In chiusura arriva finalmente “I’m with you”, probabilmente il desiderio inconfessato di tutti i presenti, forse il brano più emotivo del suo repertorio. Una ballad pop perfetta che incarna tutta la teatralità dei sentimenti quando hai 17 anni.
Una delle cose più belle mai fatte da Avril Lavigne.
Lo spettacolo scorre velocemente come questi 20 anni e le luci si spengono con il fiatone rumoroso della platea.
Non so cosa Avril Lavigne sperasse di vedere nel suo futuro quando ha infranto le regole del pop sdolcinato con il suo atteggiamento da dura, ma quello a cui ho assistito stasera è sicuramente una proiezione di ciò che sperava di vivere la ME degli anni duemila: tornare a sentire per qualche ora quell’illogica spensieratezza e credere che, in fondo, sarebbe andato tutto bene.
(anche se non è così e domattina raccoglierò i pezzi di tutta questa nostalgica euforia).
Avril Lavigne – La scaletta del concerto di Milano
Bite Me
What the Hell
Here’s to Never Growing Up
Complicated
When You’re Gone
Nobody’s Home
My Happy Ending
I’m a Mess
All the Small Things
Hello Kitty
Love Sux
Girlfriend
Love It When You Hate Me
Sk8er Boi
Encore:
Head Above Water
Avalanche
I’m With You