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La punk-opera dei DEADLETTER, nel concerto del loro riscatto

La seconda data italiana dei Deadletter regala tutte le conferme agognate dopo il complesso ma potentissimo esordio di Torino. Non si sono più dubbi: sono una delle band più interessanti del post-punk inglese.

Li abbiamo visti a Torino la scorsa estate, in occasione della travagliata ultima edizione di Apolide, e ce ne siamo innamorati, con qualche asterisco. Dei problemi affrontati dal festival piemontese abbiamo già parlato, così come del potenziale di questa giovane band inglese che al suo debutto assoluto italiano si è ritrovata a suonare su un palco troppo grande e per un pubblico troppo esiguo. La notizia è che a Milano, nella giusta dimensione, quella più congeniale al loro attuale status, i Deadletter cancellano ogni asterisco.

Al Circolo ARCI Bellezza i sei britannici appaiono fin da subito più a loro agio. Forse un po’ più stanchi, a causa del lungo tour, ma forti dello stato di grazia del loro frontman. Le doti di Zac Lawrence sono indiscutibili: è padrone del palco, senza mai calcare la mano o cercare di emulare gli evidenti modelli di riferimento. Ogni movimento è naturale, dalle pose granitiche con sguardo imperturbabile, alle sfuriate muscolari in preda a un’isteria primordiale.

A esagerare, in senso buono, ci pensa invece Will King, ancora una volta candidato a mattatore ufficiale dei Deadletter. Il chitarrista dinoccolato si muove come un matto e, pur stando defilato sulla sinistra del palco, è l’unico che riesce a far distogliere lo sguardo dal suo leader, mentre la chitarra di James Bates sembra sempre più a fuoco. Appare invece più appannata la talentuosa Poppy Richler, la sassofonista del combo britannico che a Torino aveva brillato – grazie anche a un outfit iconico – e che a Milano sembra limitarsi a ricoprire il suo importante ruolo con mestiere. A spiccare di meno è la sezione ritmica composta dal bassista George Ullyott e il batterista Alfie Husband, ma la loro solidità è la stessa che Zac loda in fase di songwriting, quindi va benissimo così. Del resto questa formazione funziona secondo quel principio olistico che rende le band qualcosa in più della mera somma dei loro singoli componenti.

I malumori dell’estate sono evaporati e la voglia di fidelizzare il pubblico italiano sembra tanta. Ci troviamo ancora nella fase in cui vedere dal vivo questi ragazzi vuol dire scoprirli, scorgere il loro talento prima che l’hype sistematico della scena post-punk inglese cerchi di divorarli. Vediamo Zac chiedete alle prime file di serrarsi, alle ultime file di accalcarsi. Scende a petto nudo e piedi nudi e attraversa la sala piegato sulle ginocchia come Gollum. Il suo è un rito sciamanico, di quelli terrificanti e affascinanti allo stesso tempo, ma non sembra avere un piano. Non è una gimmick studiata a tavolino, ma puro istinto da performer allo stato grezzo.

La scaletta è fondamentale la stessa, ma con il reciproco scambio di energia tra band e pubblico ogni pezzo sembra abbia acquisito vigore nei tre mesi intercorsi dal primo atto italiano. In questa fase della carriera ogni live può essere preziosa fonte di esperienza, ed è bello pensare che anche quello di Torino sia stato così. Che da quella serata tutt’altro che facile, e per questo tutt’altro che dimenticabile, i Deadletter abbiamo messo via qualcosa di significativo.

L’ARCI Bellezza è il teatro perfetto per la punk-opera dei Deadletter. Le sua mura sulle quali rimbalzano con violenza i suoni della band, ci ricordano che bisogna far tesoro di queste prime occasioni in piccole location, perché i sei musicisti che sono partiti dallo Yorkshire per trapiantarsi a Londra stanno facendo le prove generali per imporsi con personalità in una scena musicale che rischia di saturarsi. E a quel punto le scene da royal rumble in chiave fantasy horror potrebbero non essere più all’ordine del giorno. Le chicche scritte con la freschezza e l’ingenuità dei primi anni potrebbero non trovare più posto in scaletta e questa sensazione, che ci fa aprire la chat di WhatsApp per mandare un video e dire “te l’avevo detto che dovevi venire”, potrebbe non tornare più. Teniamoci stretto tutto questo.

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