La Tempesta Dischi
Chi è contro natura l’omosessuale o chi stupra intere popolazioni imponendo il disvalore del liberismo a tutti i costi? E di conseguenza la sopraffazione del potente sul debole? Lo so questa disquisizione è vecchia come la filosofia, ma in qualche modo è lo spunto da cui sono partiti gli Zen Circus per il loro ottavo album (il terzo interamente in italiano). Archiviato il 2013, anno per il trio pisano sabbatico, il circo Zen ha ricominciato a girare con questo disco.
“Canzoni contro la natura” in qualche modo si discosta dai due lavori precedenti, perché viene ripreso, in maniera decisa lo spirito folk-punk da cui il trio è partito. Concettualmente così come musicalmente, infatti, il disco è intriso di entrambi gli elementi sia integrati che separati. Il risultato è ottimo (il trio, infatti, per la prima volta non è ricorso ad un produttore, avendo lavorato in modo autarchico, autoproducendosi il lavoro) dato che i dieci brani in scaletta sono delle ottime pop-folk-rock songs, che saranno sicuramente apprezzate nei concerti.
Il disco ha almeno cinque brani che hanno il pregio di risultare immediati e di suscitare riflessioni sociali. Partiamo dal presupposto che “Canzoni contro la natura” ha una visione globale e, a differenza dei lavori precedenti, non si occupa soltanto della realtà del territorio italiano. La stessa “Canzone contro la natura”, che ha un incedere vibrante, con chitarre taglienti e con un incedere che non nasconde un’angoscia da pre-panico, per paura dell’arrivo dell’inesorabile, è un atto d’accusa alla cecità delle classi dirigenti mondiali, ma anche contro le prepotenze dei potenti, concetto ribadito anche dalle parole di Giuseppe Ungaretti.
Il brano d’apertura “Viva” è un inno anarchico, liberatorio, reso con un flusso di coscienza, senza filtri, molto ritmata e con una pretesa di essere generazionale, come la successiva “Postumia”. “Viva” concettualmente si lega a “Dalì”, un personaggio anarchico, brano supportato da chitarre surf-rock. L’ateismo torna nel “Albero di tiglio” una new wave cupa e malinconica, nel quale dio prende le sembianze di un albero di tiglio e invita l’uomo a non credere che sia buono come lo stesso uomo si è illuso che sia. L’apoteosi del folk-punk viene fuori ne “L’anarchico e il generale”, che sembra un omaggio a Fabrizio De Andrè, mentre “Sestri levante” ha un taglio decisamente cantautorale. Il 2014 è iniziato bene, ma con l’arrivo di questo disco, precede meglio.
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