Recensioni

WINTER DUST – Autumn Years

Non sempre la musica o una band devono voler infondere un messaggio. Musica come mezzo locomotore di esperienze, di coraggio, di forza. Spesso tutto questo viene meno, piuttosto, viene messo in secondo piano facendo prevalere altro. Sensazioni, evocazioni, riflessioni. Se una band decide di voler puntare su questo aspetto a scapito di un messaggio diretto ed invero ci riesce ugualmente bene, allora si capisce che la band, è una di quelle davvero valide. I Winter Dust sono una band davvero valida.

Autumn years, attraverso 7 brani ci invita a chiudere gli occhi e a pensare ai nostri più dolci ricordi, esortando quasi a volerci calare in uno stato di nostalgica malinconia che tanto ci fa stare bene. Penso a “Cities where I’d stay” dove le dinamiche altalenanti ci fanno prima focalizzare su ciò che è stato nei nostri anni migliori, per poi a ritmi più serrati farci arrivare direttamente alla rivelazione della nostra memoria, in un percorso sonoro-emotivo. Le chitarre si intrecciano alla perfezione con maniacale cura di suoni, dinamiche ed arrangiamenti, mai fastidiosi e allo stesso tempo semplici ma interessanti e funzionali. La sezione ritmica supporta perfettamente l’andamento emozionale di ognuno dei pezzi, ora più eterei e sospesi, ora più incalzanti e rabbiosi.

La direzione artistica è un connubio riuscito di post-rock ed emo-core alla vecchia maniera (brani come “Birthday” o “Soil”), mentre la sensazione glaciale e paradisiaco disincanto, che ci accompagna minuto dopo minuto, non viene mai meno, avvolta dal calore nostalgico dei testi e dell’espressività con il quale essi vengono sputati fuori.

Undertow, Cities where I’d stay, Moonlight sono piccolo capolavori che ti prendono e non ti lasciano più, si stendono dentro la nostra mente, facendoci cullare da dolci e fredde brezze al largo del mare del nord; tutto unito alla perfezione dalla batteria semplice ma efficacissima, il basso rombante che si stende come uno spesso tappeto per le chitarre ed alla tastiera, libere di fare tutto ciò che vogliono, infrangendosi su muri di distorsioni prima di partire per infinite code di delay che ci lanciano direttamente nello spazio.

Parlando delle pecche del disco, potrei dire che a tratti l’inglese, seppur buono, risulta un pò maccheronico, così come il cantato dia l’impressione di essere un pò sforzato (mi riferisco in questo caso a “Birthday” che rimanda molto ai nostrani Fine before you came). Le parti melodiche a volte danno un senso di deja-vous, con uno stile cantilenante troppo affine alle pietre miliari del genere emo-core. Ottimo invece il growl nei pochi e non pesanti momenti in cui viene proposto. Sono comunque dell’idea che alcuni brani avrebbero reso meglio in versione solo strumentale, in quanto gli ottimi arrangiamenti dei brani più post-rock non fanno sentire necessario l’ausilio della voce.

Un’altra cosa che mi convince fin la, riguarda la tastiera, che in molti casi risulta un pò troppo invasiva, i suoni sono molto freddi così come gli arrangiamenti risultano un pò forzati e comunque poco incisivi. Secondo il mio parere, si sarebbe potuta sfruttare in maniera più interessante ad esempio creando dei tappeti sonori con dei sintetizzatori o dei sint-pad per aumentare la sensazione eterea che il disco ci comunica. Ovviamente parlo solo di impressioni e gusto personale, perché il piano è uno strumento meraviglioso ed in alcuni punti infatti valorizza molto l’ascolto delle tracce (si ascolti Undertow ad esempio). ma spesso si sente un continuo e martellante suono che si staglia in assoli ed arrangiamenti virtuosi che reputo personalmente non sempre interessanti e ridondanti. Ripeterò sempre, a gusto personale.

Sarà che l’autunno e l’inverno sono le mie stagioni preferite, sarà che non ne ho mai abbastanza di asoltare musica che propone questo genere, ma qui ci troviamo davanti ad un piccolo gioiello dell’underground italiano. Bravi!

Emiliano Fassina

http://winterdustmusic.com/

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