Di fronte ad un disco di questo tipo si prova un enorme imbarazzo. Per il secondo disco il trio genovese ha fatto alcuni passi indietro rispetto all’esordio di quattro anni fa. Già, perché queste dieci tracce sono un surrogato della produzione dell’asse Kyuss / Queen Of The Stone Age.
È fortemente imbarazzante ascoltare un gruppo giovane che si limita a riprendere quei bellissimi ritmi, quelle melodie e riprodurle nello stesso modo, senza metterci niente di loro, se non i testi e titoli delle canzoni e qualche sfumatura. Non è che ogni gruppo debba essere innovativo, anzi si sa bene che tutti partono dall’imitazione di qualcun altro, ma per dire qualcosa di significativo si dovrebbe aggiungere qualcosa di personale, quanto meno miscelando alcuni riferimenti o generi.
In “Work to be done” niente di tutto questo. Evidentemente il trio ha preferito restare nella fase dell’eterna adolescenza, quella di giocare a imitare ancora le rockstar preferite, senza avere la minima capacità di emanciparsi da quel modello.