“Ognisogno”, trentatré minuiti, dieci brani, i Neu! e il kraut-rock diventano un piacevole ricordo (“La Stazione”) perché la Merkel ci è sempre stata sul cazzo, i crauti pure, il cacciucco vince sempre. Livorno grida, Livorno piange, Livorno ride, Livorno gode, Livorno intima, “America Isterica”, Nico Sambo scopre il lato più dolce del pop, il pianoforte è l’assoluto protagonista, il centro di gravità, il centro permanente, il centro della nuova Livorno. “Ognisogno”, Lucio Tirinnanzi è la penna, Nico Sambo è la musica, tutto torna, tutto si completa, tutto scorre, panta rei, Eraclito docet, tutto si palesa attorno alla poesia che si adagia sulle le soffici note, sulle soffici ballate, sui tasti morbidi di un pianoforte onnipresente, qualche sciabolata noise in chiave washing machine (“Eurasia”), qualche colpo di coda in chiave echoes (“Arrivederci mai”, “Connessioni instabili”).
“Ognisogno”, il quarto capitolo di Nico Sambo, non necessariamente il suo migliore disco, più semplicemente il suo percorso, la sua evoluzione, la sua crescita personale, la sua maturità, il suo disegno artistico, il suo completamento artistico.