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La latitudine di Milano 7: Recensione del nuovo album di Nicolaj Serjotti

Essendomi trasferita recentemente in una città grande per studiare, molte volte confrontandomi con chi in città ci è nato e cresciuto, ho capito che ci sono tante cose che non si possono comprendere se la provincia non la si è mai vissuta a pieno. E questo non è un modo snob per dire che chi viene dalla provincia ha qualcosa in più, o meglio, non sempre. Ad esempio, nel caso di Nicolaj Serjotti è così. L’abbraccio morboso e stritolante della provincia, le sue ombre, la nebbia e la voglia di evadere che suscita in chi la abita si mescolano assieme ai suoni elettronici, alle batterie squantizzate e ai palazzi della città per creare Milano 7, l’album di esordio di Nicolaj Serjotti. Suoni che riflettono soprattutto le sue influenze musicali oltreoceano che vanno da BROCKHAMPTON a Vince Staples passando per Kendrick Lamar. Un background musicale che viene spesso citato all’interno delle tracce dell’album, rielaborato in uno stile personale ben definito e certamente molto originale.

Il disco è stato anticipato dall’uscita dei singoli Ottobre in collaborazione con Generic Animal, Scarabocchi e Latitudine. I titoli dei brani sono immediati, spesso cupi e sempre legati tra loro in un pattern che rievoca perfettamente le sensazioni di malinconia e desolazione che suscita la provincia lombarda. I due temi principali che viaggiano parallelamente durante tutta la durata del disco sono il tempo e le relazioni, come il ritornello di Mitra “Sento il tempo che mi stritola e che grida / Vorrei avere in mano un mitra con cui farla finita”: strofe ricche di incastri che esprimono un romantico senso di impotenza che simboleggia il tempo che passa e le relazioni che lentamente ma anche velocemente si sgretolano. In Tetrapak, si inizia proprio parlando di una relazione al presente come se fosse ancora in corso, solo per scoprire alla fine del brano che in realtà è già tutto finito “Non mi dimenticherò mai quel silenzio ad Amsterdam / Anche se non ci penso mai siamo andati a scatti come quando parte il tram.” Quest’ultima traccia, insieme a Senza fiato evidenzia in particolar modo la difficoltà del mantenere una relazione a causa del disagio comune provocato dal comunicare i propri sentimenti in maniera diretta e onesta. A spezzare momentaneamente l’alone di tristezza ci pensano l’interludio Pepsi Cola e il brano Latitudine in cui si può sentire chiaramente il bisogno di abbandonarsi ad un attimo di puro relax sognando viaggi verso destinazioni lontane e sconosciute che nulla hanno a che vedere con il circolo vizioso della provincia.

Grazie alla capacità di scrittura spontanea, semplice ma mai banale che utilizza Nicolaj Serjotti, riesce a rendere Milano 7 un disco facilmente comprensibile e condivisibile da parte di chi lo ascolta. Insomma, non si può dire a vent’anni (ma forse anche più in là) di non aver mai pensato frasi come “Resto sveglio fino ad ora tarda con in testa solo una domanda, chissà se lo sto facendo come Dio comanda o se sono solamente negli standard” presa da Ottobre.
Milano 7 così riesce ad esprimere bene una serie di problematiche generazionali che accomunano tutti, restando però sempre contemporaneo e presente al suo tempo. Per questo è un perfetto ritratto malinconico e giovanile dei giorni che appaiono infiniti passati in provincia tra palazzi che sembrano di cartone e il cielo senza sfumature e la voglia di evadere dalla routine cambiando latitudine, in un posto dove tutto sembra cristallizzato e in generale c’è poco sole, ma nonostante ciò si vedono molto spesso le ombre.

di Sofia Lussana

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