“Facile” è il titolo dell’ultimo singolo del cantautore torinese PROTTO pubblicato da Sette AFK Lab. PROTTO, nome d’arte del musicista Nicolò Protto, è un progetto che mescola le sonorità melodiche del pop con ironia e poesia. Attivo dal 2016 ha pubblicato EP e singoli, fino alla partecipazione a X Factor nel 2021 e alle semifinali di Musicultura proprio quest’anno.
Hai scelto il tuo vero cognome come nome d’arte. Se PROTTO fosse un acronimo, cosa potrebbe significare?
Perdutamente Risoluto Oltre Testi Tutto Osservo.
Il tuo ultimo singolo “Facile” è un mix di pop divertente con una nota di sarcastico umorismo. Quale pensi possa essere il tuo pubblico ideale?
A discapito del titolo Facile è un brano difficile, per quanto possa per una volta avere un ritornello immediato. Dentro di esso ci sono mille mie sfaccettature, l’ironia, la profondità e la tristezza, tutto mascherato da un finto senso di spensieratezza nella musica e nell’arrangiamento. Il pubblico ideale è obliquo, fatto da chiunque sappia ascoltare ancora attentamente senza fermarsi a una prima impressione che spesso è solo fumo negli occhi.
Dove affondano le radici dei tuoi ascolti e la tua proposta musicale?
Mia madre è pianista classica, e mio nonno lo era a sua volta, quindi i grandi compositori e operisti non sono mai mancati in casa PROTTO. Ciò che ho sempre apprezzato dei classici era la loro libertà compositiva: si sceglieva la “forma” che meglio potesse valorizzare l’intento artistico, creando composizioni anche molto diverse tra di loro, ma unificate dall’inconfondibile cifra stilistica propria dell’autore. Oggi spesso invece si fa il contrario, cercando la scatola dentro cui collocarsi e accartocciarci dentro i propri intenti a seconda del contenitore che ci contiene.
Il tuo estro fa pensare al cantautorato, ma, nell’accezione di teatro canzone. Un genere che ultimamente non sembra avere molta presa suoi più giovani. Che ne pensi? Ci sono artisti contemporanei ai quali ti senti vicino?
Più che al teatro canzone, mi sento più affine al musical o ai lavori dei Monty Pythons, quindi nessun contemporaneo ancora una volta… Ma constato anche io che si stia comunque parlando di generi sempre più elitari. È triste accettarlo, ma bisogna non amareggiarsi troppo. Ogni genere ha il suo tempo, le generazioni sono in continua e irrequieta evoluzione, e via via con loro muta anche la funzione della musica, che si trova sempre a descrivere e sensibilizzare una società ogni volta diversa.
Non possiamo non citare la tua partecipazione al X Factor. Ora, a freddo, come reputi questa esperienza e cosa ne pensi dei talent?
Se dicessi che non sia stato uno spartiacque della mia vita, artistica e non, mentirei: dovessi scrivere una biografia ci sarebbe un prima e un dopo. L’esperienza in sé è stata esaltante, ma è stato il post X-Factor a lasciare strascichi emotivi e lavorativi. Riconosco di aver potuto raggiungere tanti che altrimenti non avrebbero mai ascoltato la mia musica, ma la macchina dello spettacolo si ciba di spettacolo, cannibalismo veramente effimero. Poi quando la marea si ritira resta solo il sale sugli scogli.
Se dovessi fare un paragone con i vari premi italiani, come Musicultura a cui hai partecipato?
Ad X-factor ho trovato veramente poco interesse reale per il progetto, con uno sguardo concentrato più sulla teatralità che sul lato artistico o il senso culturale/sociale dei miei testi. È passata più la scena che ho fatto, come un giullare, quando dietro c’era una performance provocatoria. In altri contesti come Musicultura ho trovato molta più cura e sincera attenzione verso la mia proposta artistica.
Featuring nel cassetto?
Nessuno in cantiere, potrei al limite coinvolgere alcune delle mie mille personalità.
AI, autotune, TikTok, social, Spotify, etc. La cosa migliore e la cosa peggiore per te in questo periodo storico…
Da ex statistico sono abbastanza cinico nei confronti di qualsiasi meccanismo figlio di un algoritmo auto regressivo che si addestra da solo in base a trend e a mode estemporanee. Penso che a perderci sia l’uomo, la sua sensibilità intrinseca e non ultima l’arte stessa, come già Azimov aveva intuito diversi decenni fa, con le sue leggi della robotica. L’autotune, invece, non mi infastidisce affatto, è una cifra stilistica all’interno dei generi che lo usano. Un’innovazione tecnica non molto diversa da qualsiasi altra adottata nel tempo, come le distorsioni nell’hard rock o gli arpeggiatori nell’elettronica. Con le dovute e necessarie riproporzioni!
Parlaci del tuo rapporto con la città di Torino e i suoi risvolti musicali…
Torino la amo, forse molto più di quanto lei ami me. È un amore asimmetrico che porta sempre con sé dei sensi di inadeguatezza e frustrazione, come in qualsiasi relazione intessiamo. Musicalmente è una piazza molto interessante, variegata e di grande potenzialità, imprescindibile a livello italiano e forse anche europeo.
Stai preparando dei concerti? Come sarà in caso la formazione dal vivo?
Sto preparando una ristrutturazione del progetto in toto: nuove canzoni, nuovi arrangiamenti live, sempre con i musicisti amici con cui mi affianco da anni. Stiamo virando verso uno spettacolo completo su tutti i livelli, sensoriali e non, integrando il set con molti sintetizzatori, drum machine e proiezioni visual. Idem per le nuove canzoni, che hanno una struttura più semplice e una penna (si spera) più matura. Senza mai sacrificare quel briciolo di follia e imprevedibilità che contraddistingue la mia scrittura.