Interviste

VONAMOR: “Siamo un collettivo, più che una band”. Il debutto della band romana tra dark-wave, teatro e letteratura

Pubblicato lo scorso febbraio da Time 2 Kill Records, VONAMOR è l’omonimo debut album del trio romano composto da Francesca e Giulia Bottaro insieme a Luca Guidobaldi. Un caleidoscopio di suoni pulsanti e richiami culturali, che mescola beat electro al fascino delle sonorità dark. Un’evocazione degli ’80 filtrata da una visione contemporanea, che fuori dall’Italia ha già creato una certa attenzione. Se il magazine USA Postpunk parla di “𝘢𝘤𝘤𝘢𝘵𝘵𝘪𝘷𝘢𝘯𝘵𝘦 𝘢𝘷𝘢𝘯𝘵-𝘨𝘢𝘳𝘥𝘦”, la rivista inglese Blood Makes Noise li accosta a “Marianne Faithfull e Siouxsie and the Banshees”. Quello che è e quello che sarà il progetto VONAMOR, ce lo raccontano proprio loro in questa intervista. 

Prima di tutto cosa significa il nome VONAMOR? E perché maiuscolo?

VONAMOR ha più significati, più strati di lettura; come la maggior parte delle cose che ci affascinano. Nasce dall’unione di VON e AMOR: VON, come la preposizione della lingua tedesca che indica appartenenza o provenienza “da/de” e AMOR, come “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. VONAMOR ha la bellezza di non appartenere a nessuna lingua e al contempo di evocarne diverse: tedesco, latino, italiano, spagnolo. Tradotto in italiano, suonerebbe un po’ come “dell’amore” o “dall’amore”, da cui il nostro motto: “dall’amore, dell’amore, per amore. VONAMOR”. Amore di cui è pervaso il disco. Infine, la scelta del maiuscolo deriva proprio dal lasciare aperte più letture possibili, come un nome che non ha un inizio e non ha una fine; graficamente, poi, ci piaceva di più.

Siete una band, ma nel progetto si ritrovano anche grafica, fotografia e cinema. Vi definireste una factory creativa?

Sì, ci piace pensare al nostro progetto come a un collettivo creativo più che a una band. Anche perché non siamo musicisti puri. Siamo cresciuti con la musica, ma anche con il teatro, la scrittura, poi con il cinema, le arti figurative e grafiche, l’architettura e il design. Non ultime si aggiungono la passione per le arti marziali, la danza… e abbiamo sempre creduto che tutte le sfaccettature che apportiamo al progetto potessero esserne il vero valore aggiunto.

Come influiscono quindi le altre arti come teatro e letteratura nel vostro progetto? 

La letteratura e le diverse lingue influenzano il progetto fin dalla nascita di ogni singolo brano. Ascoltando e leggendo i testi del disco (che si possono trovare in ogni descrizione dei nostri video e riportati nel poster all’interno dell’album VONAMOR uscito lo scorso 18 febbraio), si può scoprire che la maggior parte di loro nasce da un dialogo con testi letterari che abbiamo amato: da “1984” di George Orwell a “À la recherche du temps perdu” di Marcel Proust, da “Morte di una falena” di Virginia Woolf a “Mother Night” di Kurt Vonnegut e alti altri ancora. Il teatro ci ha sempre influenzati, invece, anche semplicemente nel modo in cui ci caliamo in dei personaggi ogni volta che suoniamo, così la scelta di un abito, di una posa, di un movimento. E la scrittura teatrale ancora una volta ha influito sulla scrittura di alcuni testi (che alle volte sembrano dei monologhi o dialoghi più che testi di canzoni) e nella loro interpretazione (diverse recensioni lo hanno colto in “Take Your Heart”, ad esempio). Infine, se ancora non abbiamo avuto occasione di portare in scena questo album, tuttavia nel nostro percorso artistico abbiamo spesso suonato in teatri (forse il palcoscenico su cui ci troviamo più a casa), unito musica a parti recitate o a reading, in una fusione che ha sempre fatto parte di noi.

Siete riusciti a trovare un equilibrio tra diversi generi sicuramente non allegri e solari, ma emerge però dai suoni e dall’estetica una certa vena pop. Qual è il miglior modo per definirvi?

Definirci farebbe svanire il mistero che vorremmo nascesse da ogni ascolto, ma proviamo a farlo senza svelare troppo! Tra le varie definizioni abbiamo spesso optato per dark wave. Il dark sicuramente ci contraddistingue e la wave ci trascina piacevolmente tra new wave, dark wave fino ad approdare nel post punk. Non siamo solari ma nei diversi brani del disco sono diverse le melodie orecchiabili, distese, che definiremmo quasi romantiche, capaci di entrarti in testa e quindi in un certo senso, vagamente pop. Tutto questo si rispecchia poi anche nell’immagine del gruppo, nei video, che uniscono qualcosa di più stridente e dark ad altro più catchie, più pop.

Se possiamo definire il vostro sound come non moderno (nel senso non di moda), le tematiche dei vostri testi guardano alla contemporanietà…

Definiremmo il nostro sound più che moderno contemporaneo, con alcuni riferimenti agli anni ‘80, sì, ma mai presi in blocco e riproposti. Ci interessa la ricerca, la fusione, in un’ottica, appunto, molto contemporanea. I testi poi sono contemporanei in quanto trattano tematiche come l’amore, la nostalgia, la sottomissione, la protesta, il potere e il desiderio: temi che hanno sempre accompagnato gli esseri umani; che viaggiano con il tempo, appunto, contemporanei. Se poi tutto questo sia o meno di moda, lo decidono più che altro gli algoritmi ormai, il che lo rende ampiamente fuori dal nostro campo d’azione… e anche d’interesse.

Quali sono i vostri riferimenti artistici e culturali? Avete un gusto univoco condiviso oppure ognuno dei tre preferisce cose diverse?

 Ci siamo sicuramente incontrati su gusti condivisi, e abbiamo avuto la fortuna di avere una certa “simmetria dei desideri” che ci ha portati a comporre un disco variegato ma armonico, con un sound deciso e a volte, come ci è stato detto (per la nostra gioia!), visionario; un sound che abbiamo ricercato con curiosità e amato. Siamo piuttosto in linea con i gusti, ma, avendo ciascuno di noi personalità forti e differenti, ci portiamo dietro anche alcune preferenze che si distanziano e in qualche modo probabilmente influiscono, come una certa passione prog del cantante, Luca Guidobaldi; le radici che affondano nella musica classica nel caso di Giulia e Francesca Bottaro, da cui gli strumenti a fiato e un amore per alcune armonizzazioni delle voci che vengono a volte dal canto corale, ad esempio. Poi nel disco ci sono le chitarre scritte e suonate da Francesco Bassoli, musicista eclettico con esperienze passate anche per il jazz, l’hard rock e la musica elettronica. Ma le influenze a volte sono anche inconsce e più affascinanti ancora. 

Quanto è importante la componente estetica nel rappresentare la band?

È fondamentale. Più che un progetto musicale, lo definiremmo un progetto di estetica musicale, e non solo. L’immagine del gruppo, l’estetica dei video, dell’immagine coordinata sono aspetti centrali di un progetto che, come dicevamo, sfugge ai confini musicali per intercettare gli spazi teatrali, visivi e grafici. Per tutta questa parte, decisamente impegnativa ma di grande soddisfazione, dobbiamo molto alla nostra Francesca Bottaro, che oltre ad essere musicista del trio è anche videomaker e grafica. Francesca ha seguito la regia di diversi nostri video, riuscendo a trasmettere con ancora più decisione l’estetica che i nostri brani portavano con sé in potenza, e l’immagine coordinata dei social e del sito. Non ultimo, essendo anche scenografa, ci aiuta anche nella nostra dimensione live. Vi invitiamo caldamente a dare un’occhiata ai video, ai nostri canali social e all’artwork del disco.

Come nascono testi, musiche e arrangiamenti? 

Alcuni brani sono nati da immagini che si tramutavano in riff, giri di basso e beat di elettronica, seguiti a gran velocità dalle parole: un treno in corsa per “Fast-Forward Girl” o lividi e vetri rotti per “You the People”. Altri nascono da un’improvvisazione musicale di chitarra, basso, voci che si intrecciano a strumenti a fiato, come per “Empire” e “Lucky You”. La ritmata “Take Your Heart” è nata da una visione di una storia surreale: un dialogo impossibile tra due amanti, uno dei quali si è dato fuoco per aver male interpretato le parole dell’amata, che continua a parlargli da un mondo all’altro, e a rimproverarlo di non averla, in fondo, mai compresa. Lo spunto per alcuni brani, come anticipato sopra, può essere un testo letterario, come “1984” per “Never Betray Us” o l’incipit de “À la recherche du temps perdu” per “Mother Night” e poi per qualche strana magia sono emerse dal profondo parole e melodie piuttosto struggenti, in italiano, sempre in “Never Betray Us” e in “Mother Night”, o in cinese, come nel finale di “Wilderness”. Il processo creativo è misterioso e nasce da una sinergia speciale durante ore e ore di prove, di idee, di risate, di scambi in sale prova e studi di registrazione, in cui il brano cresce con l’arrangiamento in cui ti riconosci.

Come avete scelto le tracce dalle quali poi avete pubblicato anche il videoclip? 

Abbiamo cercato di bilanciare singoli più ritmati, come “Fast-Forward Girl” con altri dal sound più vicino a una ballata, più aperti e romantici, come “Never Betray Us”. Per riportare di nuovo su il ritmo con un pezzo più leggero e ironico, quale “Take Your Heart” e tornare a stupire con un brano incalzante, ma più cupo: “You the People”, che forse per le tematiche, il video e il minutaggio perfetto (poco più di tre minuti) sta avendo una gran bella risposta. E poi ci tenevamo a stupire con un asso nella manica: il prossimo “Lucky You”.

Possiamo dire che siete più conosciuti all’estero che in Italia. Secondo voi quale potrebbe essere il motivo?

Il sound dark wave, post punk in Italia è sempre stata una nicchia, con i suoi amatori, molto fedeli e calorosi, ma pur sempre una nicchia. All’estero, soprattutto in Nord ed Est Europa e negli Stati Uniti, è un genere, invece, che sta prendendo sempre più forza, passa abitualmente alle radio, nei club… qui le radio che sono più inclini a non passare esclusivamente il rock più classico o il cantautorato italiano o la trap sono le radio realmente indipendenti, o alcune trasmissioni di nicchia che sanno ricercare band meno sulla cresta dell’onda e che ringraziamo di cuore per gli spazi che concedono a noi e ad altra musica non mainstream.

Inoltre, cantiamo in cinque lingue diverse (inglese, italiano, francese, tedesco e cinese) ma con una prevalenza dell’inglese, per cui è sicuramente più facile per un pubblico inglese, nord europeo o statunitense apprezzare i testi… stiamo facendo anche molte interviste in inglese per trasmissioni statunitensi, inglesi, canadesi, belghe, perfino nelle Hawaii! Ed è sempre straordinario incontrarsi con amanti della musica di tutto il mondo!

Avete mai pensato di trasferirvi all’estero per valorizzare al meglio il progetto VONAMOR?

Con i progetti precedenti (il trio shootin’ stars per le sorelle Bottaro e il gruppo The Seventh Will per Luca Guidobaldi e Francesco Bassoli) ci abbiamo pensato. Abbiamo avuto modo di suonare in Inghilterra e la proposta di restare lì ci ha dato modo di pensare seriamente alla cosa. Ma abbiamo sempre amato la nostra città, Roma, e le strade che portiamo avanti oltre ai progetti musicali ci hanno fatto propendere per restare. Tuttavia la nostra impressione è stata che un solo mese a Londra dia di più, in quanto a risposte, contatti, concerti e possibilità in ambito musicale, di tre anni in Italia, ahinoi – almeno per il nostro genere, s’intende.

Per scaramanzia non parliamo di tour o concerti, ma, avete già progettato come portare in scena il nuovo album? 

E come non pensarci! Non fosse stato per la pandemia lo avremmo già fatto da tempo. Non abbiamo mai smesso di suonare, anche nelle difficoltà maggiori, e siamo pronti, vogliosi di far sentire come suona il disco dal vivo, magari anche insieme a proiezioni e performance, se ce ne sarà la possibilità. Stay tuned!

foto Fabio Santomauro

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