Dopo l’interessante esordio con l’EP “We Aren’t Humans” del 2018, i Bytecore sono tornati con il nuovo singolo “Enemy”, che anticipa il già annunciato debutto sulla lunga durata “BORN TO LOVE”, in uscita il 20 novembre per Shout! / Edizioni Cramps. La band si conferma su atmosfere industrial di respiro internazionale, avvolta da un impatto visivo d’effetto: l’abbiamo incontrata per sapere qualcosa in più su Enemy e sul disco in arrivo.
Ciao ragazzi, Enemy apre un nuovo capitolo musicale che culminerà con il nuovo disco Born To Love. Perché avete scelto questa canzone per questo nuovo inizio?
Enemy è sicuramente il riassunto semantico dell’album. Abbiamo pensato ad un nuovo inizio ricco di contenuti, gli stessi che abbiamo sempre provato a trasmettere, una storia che però solo con la musica è difficile da raccontare.
Fino ad un anno fa eravamo una band strumentale e la composizione iniziale del disco non prevedeva la voce. Con l’introduzione dei testi abbiamo subito colto la palla al balzo per rafforzare i nostri concetti e il nostro pensiero. Quando l’album era ultimato, è stato abbastanza naturale capire quale brano utilizzare come primo singolo, come presentazione di questo nuovo “noi”. Ci siamo guardati in faccia dopo aver ascoltato i 3 brani “candidati” fino allo sfinimento e alla fine ci siamo detti: “Ok, è inutile, vince!”.
Com’è nata Enemy e cosa dobbiamo aspettarci dalle altre tracce del nuovo album?
Enemy prende spunto da una riflessione fatta rispetto a molti aspetti sociali che caratterizzano il mondo moderno, da alcuni concetti filosofici (il pensiero di Nietzsche per primo) e dal nostro pensiero circa i “contenuti” che oggi vengono inculcati dai media nelle menti delle nuove generazioni.
L’idea principale è questa: combattiamo contro gli altri, combattiamo contro le leggi invisibili di questa società malata, combattiamo contro il tempo.. e non ci rendiamo conto che in realtà la nostra lotta è una lotta eterna contro noi stessi. L’obiettivo dell’uomo moderno è quello di raggiungere uno status, il potere, il piacere illusorio in un’estenuante lotta ideale contro il tempo. Ci siamo dimenticati chi siamo e forse è giunto il momento di riconciliarci con noi stessi. Ma noi chi siamo?
Noi stessi screditiamo questa modalità umana ma al tempo stesso, in questo preciso istante, stiamo facendo questa intervista per farci conoscere, per far in modo che il nostro disco venga ascoltato ed apprezzato da più persone possibili, per innalzare il nostro “livello” come band, quindi.. paradosso. Non giudichiamo, non facciamo la morale a nessuno, vogliamo semplicemente raccontare il loop in cui noi umani siamo intrappolati.
L’intero album affronta in maniera molto metaforica questo tipo di concetti, affronta i paradossi dell’umanità, il nome stesso dell’album è un paradosso. A noi piace pensare che affronta concetti banali che in realtà banali non sono. Sono tematiche di cui si parla continuamente ma che solo in poche occasioni vengono affrontate con il giusto peso. In fondo è uno dei problemi principali di questa nuova società: diamo il giusto peso alle cose?
Tra l’altro, il brano, come d’altra parte l’intero album, prende vita in due momenti differenti. Il primo è stato quello legato alla composizione strumentale; provenivamo da un EP molto sperimentale, complesso, immaturo e l’idea era quella di prendere una direzione, di far uscire fuori il nostro essere. Il secondo momento è quello legato alla stesura del testo, fatto dopo che l’album era già stato completato. Ovviamente abbiamo dovuto rivedere molti aspetti della struttura strumentale, ma infine siamo riusciti a trovare un buon equilibrio tra voce e strumenti.
Il vostro impatto visivo e la vostra immagine ci trasportano in un mondo post-apocalittico: secondo voi ci sono affinità con il mondo attuale in cui stiamo vivendo? L’uomo sta diventando sempre più quello che voi rappresentate attraverso le maschere?
Guarda, ne parlavamo poco tempo fa con il videomaker che ha girato un nostro video (1950 DA). Eravamo in pieno lockdown e parlando del più e del meno ad un certo punto ci dice, riferendosi al video, “comunque voi eravate avanti già di due anni”. Naturalmente questo non è per dire che siamo i Nostradamus di noi altri, ma che basta leggere tra le righe della storia e guardare come stanno cambiando le cose per capire che faremo una brutta fine. La storia e ciclica, è vero, ma lo sfruttamento delle risorse no. La tecnologia ci semplifica la vita, noi siamo i primi ad utilizzare prodotti tecnologici ogni giorno, ma sappiamo benissimo l’impatto che la nostra condotta ha su questo pianeta. E’ per questo che, anche grazie ai costumi e le maschere, abbiamo cercato di rappresentare un contrasto concettuale: l’uomo contro l’alieno, che letto in chiave diversa diventa l’uomo contro l’uomo; In 1950 DA è un asteroide a distruggere la Terra, ma la realtà è che l’umanità sta giocando un ruolo importante nella sua auto-distruzione.
Tre dischi che hanno influenzato Born To Love.
Sicuramente la parte ritmica è stata influenzata da “Herzeleid” dei Rammstein. Ci sono molte “marce” e sezioni in 4/4 stile “disco” che caratterizzano il mood del disco.
La parte melodica e la gran parte dei ritornelli sono stati invece influenzati dai Bring me the horizon. Come in “That’s the spirit”, c’è tanta aria e tanta ampiezza melodica.
Infine citiamo “The day is my enemy” dei Prodigy, per quel che riguarda tutta la sezione dei synth.
Com’è nata la collaborazione con Zack Ohren?
In realtà con Zack abbiamo già collaborato; Francesco, il nostro chitarrista, ha lavorato con lui per un altro progetto. E’ sicuramente un professionista unico nel suo genere e non a caso ha collaborato con band come Machine Head, One Shall Perish, Suffocation e tanti altri. Proviene da un ambiente estremo ma è riuscito a bilanciare il nostro master con una maestria impressionante. Arrivati a fine pre-produzione il problema era quello di decidere a chi affidare il mastering del disco e dopo vari ascolti abbiamo deciso di provare ad inviarglielo. Naturalmente, essendo uno dei big del settore, è lui a decidere se lavorare con una band o meno. Eravamo un po’ scettici ma dopo nemmeno due giorni ha accettato di collaborare con noi. Era molto entusiasta e penso che abbia vissuto questa collaborazione come una sfida anche personale, se consideriamo che tratta per lo più materiale metal. Ovviamente lavorare a distanza non è stato semplice, ma nel giro di una ventina di giorni siamo riusciti a portare il lavoro finito, con grande soddisfazione da parte di tutti. Non è detto che il prossimo album non lo registreremo interamente da lui.