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Intervista a TESS PARKS: la dea della psichedelia

Intervista e foto di Oriana Spadaro

Immaginate l’alter ego al femminile di Anton Newcombe con la voce di Liam Gallagher e il sex appeal di Jane Birkin. Il risultato è Tess Parks, la dea della psichedelia, una ragazza forte in un corpo fragile, con due occhi da cerbiatto che ti conquistano all’istante.
L’ho incontrata al Circolo Ohibò prima del suo concerto milanese dello scorso novembre. Mi saluta baciandomi come  se mi conoscesse da una vita e la prima cosa che mi dice è che le piace il mio anello bianco e nero che non tolgo mai.

Ok, siamo subito amiche.

Ciao Tess. È la prima volta a Milano, vero?
Si. Abbiamo suonato al Siren Festival a Vasto e allo Psych Festival a Roma, ma così a nord è la prima volta.

Sono curiosa di sapere come hai conosciuto Alan McGee, che è stato una figura chiave all’inizio della tua carriera musicale.
Beh, la mia band preferita sono gli Oasis. Sono cresciuta sapendo chi era, conoscevo la Creation Records ovviamente, ma non avrei mai immaginato di conoscerlo o lavorare con lui. Quando l’ho conosciuto non faceva più musica. Ho lavorato per un mese circa in Denmark Street a Londra. Un mio amico che sa quanto amo gli Oasis un giorno mi ha detto che Alan sarebbe da quelle parti per girare la scena di un film e quindi dovevo esserci assolutamente. Mi ha detto che dovevo andare e suonare anche, perchè lui sicuramente sarebbe rimasto nei paraggi a lavoro finito. Ho deciso di andare e alla fine mi hanno presa come comparsa nel film. Non ero mai stata su un set cinematografico e quando ero lì mi sono resa conto di quanto fosse inappropriato andare da lui tra un take e l’altro. Così alla fine ho deciso di dargli un cd con le canzoni registrate con una garage band, tra cui Somedays e altre che poi sono finite negli album, tutte praticamente. Credo di aver detto qualcosa come “oddio, hai scoperto la mia band preferita, ti adoro, ti prego ascolta questo, grazie”. E lui l’ha fatto davvero. Circa un anno dopo mi ha chiamato per dirmi “ho fondato un’etichetta discografica, vuoi farne parte?” Io ho iniziato a gridare e piangere e dire “oddio, si, si, certo”. E così mi ha cambiato la vita completamente, come non avrei mai immaginato. Se non ci fosse stato lui non credo che avrei continuato molto con la musica così come ho fatto. Ancora non posso credere di aver fatto un disco con the fucking guy che ha scritturato gli Oasis, mi viene da piangere mentre te lo sto raccontando. Grazie per avermelo chiesto, è così speciale parlarne.

Come hai conosciuto Anton e come hai cominciato a collaborare con i Brian Jonestown Massacre?
Io e Anton ci seguivamo su Twitter e lui ha cominciato a retwittare la mia musica quando è uscito il primo album. Gli ho mandato un messaggio per ringraziarlo per il supporto perché era fantastico, sono sempre stata una sua grande fan.
Dopo l’uscita di Blood Hot a novembre 2013 non ho fatto un tour, ma solo alcune date in UK con i Black Tambourine, grande band. Poi sono andata a trovare un mio amico a Berlino. Anton vive lì, così gli ho scritto che sarebbe stato bello incontrarsi. Non ho detto nulla sul fare musica insieme. Durante il primo incontro abbiamo registrato Mama ed è venuta proprio bene così abbiamo deciso di fare due dischi!

Com’è il processo creativo con Anton? Chi scrive i testi e chi la musica?
Nel primo disco i testi sono miei. Per esempio lui ha scritto la musica di Gone e io il testo. Nel primo disco siamo rimasti più fedeli alla struttura delle canzoni che gli avevo presentato. Lui è stato molto attento alla produzione, a dare forma ad ogni canzone, cosa che da sola non sarei mai riuscita a fare perché sai, lui suona mille strumenti e poi con l’elettronica ci sono infinite possibilità. Lavorare con lui è formativo per me. Abbiamo finito di registrare il disco a febbraio 2017, ma nel frattempo mia zia è morta, così sono andata a casa per poco, poi sono tornata a Berlino per finire il disco, ma è stato il peggior periodo della mia vita, ero triste per la mia famiglia e volevo stare vicino soprattutto a mia madre. Ero esausta e così sono tornata a casa a luglio 2017. Penso ancora che avrei potuto dare di più in quel disco, ma va bene così.

Perché avete scelto proprio Berlino per registrare? È una città alquanto malinconica e tragica, forse la sua atmosfera si riflette in qualche modo sul mood della musica.
Perchè Anton vive lì. La prima volta che ci sono stata non mi è piaciuta affatto. Io sono per metà ebrea e quando ho visto il museo dell’Olocausto, il Checkpoint Charlie, camminavo e pensavo a tutte le cose che sono successe, a tutta la gente che è stata assassinata lì.. non è il posto dove avrei mai pensato di fare musica. Ma d’altronde non ho mai fatto un disco nemmeno a New York o Londra. Alla fine mi piace.

A cosa ti ispiri per i testi?
Alla morte soprattutto. Poi la vita, la rinascita, non esser mai nati, l’immortalità, le relazioni, le amicizie. I testi sono sempre riferiti a me e le mie esperienze personali. Non riesco a parlare delle storie degli altri. Ho bisogno di parlare della mia vita, prendere le cose negative e trasformarle in qualcosa di positivo. Fondamentalmente devo smettere di usare la prima persona, Anton me lo dice sempre. Ma in realtà non ci vedo nulla di sbagliato nel cantare come mi sento perché le persone che ascoltano magari si sentono nello stesso modo e possono mettersi nella mia posizione. Non è necessariamente una cosa sbagliata.

Ti occupi anche di dirigere i tuoi video e prendi ispirazione dalla tua vita quotidiana e dai tuoi amici come nel video di French Monday Afternoon.
Si mi piace tantissimo. Ruari suona la chitarra e mi aiuta con i video, li giriamo insieme. È tutto più facile perchè io ho studiato fotografia e cinema, quindi riesco a realizzare esattamente quello che ho in mente.
In quel video ci sono tutti i miei amici, mia sorella. Non sono altro che uscite con i miei amici che documento, oppure la vita in tour. Non abbiamo budget, quindi registriamo tutto con l’i-phone. Tutti i video hanno lo stesso stile, quindi magari un giorno potrei montarli e farne un documentario.

Nel videoclip di Right On alla fine c’è l’immagine della tomba di Nico. Immagino ti abbia ispirato molto.
Ovviamente amo Nico. Ho scritto le parole della canzone Grünwald. Io e la mia amica Katy siamo andate lì dove lei è sepolta, durante la registrazione di I Declare Nothing, ed è stata davvero una strana avventura. È bello andare a trovare i tuoi eroi.

Donne che ti hanno ispirato? Anche nel cinema o nella letteratura.
Nico, Cat Power, Janis Joplin, Patti Smith. Ce ne sono tante. Caspita, non mi viene in mente niente, come quando vai in un negozio di dischi e all’improvviso non ricordi nemmeno più i tuoi gusti! Comunque leggo molta poesia. Mi sembra di fare dei cliché a dirti certi nomi. Comunque, Sylvia Plath e altre donne tristi.

Artisti contemporanei che apprezzi e con i quali ti piacerebbe collaborare.
Air, Death In Vegas, Liam Gallagher ovviamente. Sono aperta a lavorare con tutti, soprattutto con gli amici.

Ti piacerebbe sperimentare qualcosa di diverso dalla psichedelia?
Si certo, mi piacerebbe fare qualcosa di elettronico, trip hop, dance. Oppure qualcosa del tipo io e la chitarra come Elliott Smith. Vedremo.

Sei sempre circondata da uomini, per il tipo di musica che fai. Devi lottare per farti rispettare? Ti è mai capitato di dover combattere contro dinamiche maschiliste?
Ho fatto dei concerti da sola in passato e mi è capitato di non ricevere attenzione durante il soundcheck, per esempio. C’erano uomini che con aria sprezzante non si sforzavano di aiutarmi e ascoltare le mie richieste su come volevo i suoni, mentre erano molto disponibile con il gruppo maschile che suonava dopo di me. Ho rinunciato a dare l’immagine di una che incute rispetto e questo aiuta, nel senso che non mi comporto come una vittima di sessismo e quindi non succede di esserlo. Se un episodio del genere lo fai diventare chissà cosa, allora diventa un problema, se invece non ci dai importanza è come se non fosse mai accaduto. La regola dell’attrazione, sai.
In generale credo che nel mondo gli uomini siano ascoltati di più, è il loro ruolo nella società.

Quindi pensi che per una donna sia più difficile essere presa sul serio in questo ambiente musicale?
Beh se fossi una che si fa le foto in underwear sarei più famosa, ma non sarei io e non scendo a compromessi.
Patti Smith è un’eccezione in questo ambito, lei incute rispetto.

Parlami un po’ della tua band.
Li ho conosciuti tutti a Londra. Il primo è stato Oli (basso, ndr), poi ho conosciuto Mike (chitarra, ndr) nel 2014 e siamo stati insieme per tre anni circa e poi ci siamo lasciati. Poi ho conosciuto Ruari (chitarra e tastiere, ndr) a un concerto di Neil Young e Ryan ad una festa di compleanno di Mike.
Io, Mike, Rian e Ruari abbiamo aperto il concerto dei Jesus and Mary Chain nel 2015.

Non è strano suonare il disco registrato con Anton con un’altra band?
Si è strano perché c’è molto di Anton in questo disco. La gente vuole sentire live ciò che sente sul disco nota per nota esattamente, ma alla fine è lo stesso sound. Le persone che non vogliono compromettere la loro integrità creativa annoiano. Per me sono solo semplici accordi e testi, se suonano diversi ogni sera è solo una fortuna.

Andrai in tour con lui per promuovere questo disco?
Lui è appena andato in tour con i Brian Jonestown Massacre che è il suo progetto principale. Fare dei dischi insieme è stata una sorpresa, non era previsto un tour.

Progetti per il futuro?
Voglio trasferirmi in California tra dicembre e gennaio. In aprile il tour continua con delle date in Scandinavia e Germania.
Poi ho intenzione di fare un altro disco, sto scrivendo tanto ultimamente.
Voglio finalmente pubblicare un libro di poesie e fare una mostra fotografica. Ci sono molte canzoni e poesia che ho scritto che sono collegate a fotografie che ho scattato. Mi piacerebbe creare qualcosa che combini tutto ciò, per esempio un libro di poesie con le mie foto.

 

 

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Malata di musica e fotografia. Collezionista di vinili e biglietti di concerti. Anglofila, doveva nascere nella Swinging London o nella Manchester degli anni ’90.

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