Prima e turbolenta edizione del Milano I-Day Urban Festival che avrebbe dovuto portare gli Oasis in Italia per l’ultima volta prima dell’annunciata pausa a tempo indeterminato. Come tutti oramai sanno però, la risaputa mancanza di professionalità dei fratelli Gallagher ha colpito ancora e la band ha annunciato il giorno prima dell’evento lo scioglimento e il conseguente annullamento degli ultimi due concerti programmati. È quindi assolutamente doveroso complimentarsi con gli organizzatori dell’evento che, nonostante la rovinosa assenza degli headliner, hanno impiegato il poco tempo rimasto e ulteriori soldi per cercare di dare una parvenza di decenza alla manifestazione, riuscendo ad ingaggiare all’ultimo minuto un grande gruppo come i Deep Purple.
L’insolita location, una parcheggio immenso della nuova Fiera Campionaria di Rho, si è dimostrata tutto sommato accogliente ed ha offerto un ottima visibilità ai presenti. Non sono mancate di certo le (poche a dire il vero) proteste dei fans più sfegatati degli Oasis, anche se a forse occorre guardare un po’ più in la del proprio naso e puntare il dito contro i veri responsabili di questa festa rovinata e non contro i poveri organizzatori.
Oasis
Arrivo giusto in tempo per guardare le note finali dello show dei Twisted Weel che, a detta dei presenti, è stato più o meno uguale a quello di febbraio al Forum di Assago, quando la band di Manchester apriva per gli Oasis.
Cambio di palco e tocca agli acclamatissimi Kasabian che confermano anche dal vivo le ottime sensazioni suscitate dal recente “West Ryder Pauper Lunatic Asylum”. Tom Meighan si presenta a sorpresa sul palco con i capelli corti e appare subito in forma così come il resto della band. La maggior parte della gente delusa comunque accorsa oggi a Rho è venuta quasi esclusivamente per loro e canta a squarciagola tutti i pezzi più famosi della band come “On Fire”, “Underdog” ed “Empire”, tutti eseguiti in maniera impeccabile. Il concerto si chiude tra le ovazioni sulle note della celeberrima “Lost Souls Forever” che ci convince sempre di più sul fatto che i Kasabian siano forse gli eredi più validi degli Oasis stessi, seppur differendo abbastanza in quanto a proposta musicale. Li aspettiamo di nuovo in Italia, stavolta però al chiuso e con un set completo.
Stessa cosa non si può dire esattamente dei The Kooks, apparsi abbastanza vivaci ma incapaci di offrire un set valido e interessante per un’ora intera. Poco male comunque, perche la band britannica riesce comunque ad intrattenere e divertire sparando nel momento giusto le migliori cartucce come ad esempio “Naïve”, “Always Where I Need to Be” e “Sofa Song”. Luke Pritchard saltella continuamente da un lato all’altro del palco, il resto della band invece è un po’troppo statica senza mai mostrare una personalità accettabile. Il pubblico in ogni caso applaude, ma la sensazione è che ai Kooks servirà molto più di quello offerto stasera per restare nel giro che conta del brit-rock.
Deep Purple
Assieme ai The Kooks termina il festival per una piccola parte dei presenti che abbandona l’arena prima o durante lo show dei Deep Purple. Ed è un vero peccato, perche Ian Gillian e soci impiegano un paio di canzoni per ricordare a tutti la differenza tra una band qualunque ed una immortale. Probabilmente questi vecchietti non centrano quasi nulla col resto del cast di questo I-Day Urban Festival, ma nemmeno il più ottuso dei fan degli Oasis può sostenere di aver visto uno spettacolo non all’altezza del resto festival anzi, rispetto alle ultime esibizioni dei Purple in Italia ci troviamo di fronte un Ian Gillian in forma e capace di sferrare ancora qualcuno dei sui micidiali acuti che lo contraddistinguono da quarant’anni. Resto della band è come sempre più che perfetta, con un Roger Glover che a 65 anni si muove ancora come un ragazzino sul palco ed un Ian Paice scatenato dietro alle pelli. La nota più esaltate della serata è però rivolta al chitarrista Steve Morse che sforna un prestazione stratosferica che ha lasciato a bocca parte più volte i presenti: sull’importanza in studio di Ritchie Blackmore non si discute, ma Morse stasera ha dimostrato di avere una tecnica paurosa e di esser oramai più che un rimpiazzo. La scaletta è incentrata sui grandi successi della band inglese, partendo dall’immancabile “Highway Star” fino alla stra-celeberrima “Smoke On The Water”. In mezzo c’è stato spazio anche per qualche pezzo più recente della discografia dei purple, come comunque non ha più di tanto sfigurato in mezzo a canzoni immortali come “Stange Kind Of Woman”, “Perfect Strangers” o “Space Truckin”. Il concerto si chiude tra gli applausi sulle note di “Hush” e di “Black Night” il cui riff di chitarra viene cantato da tutti i presenti. A conti fatti una grande esibizione dei Deep Purple, che non poteva che esser applaudita anche dai fans più delusi e arrabbiati per la defezione degli Oasis.