di Alberto Bettin
Unica data in Italia = non abbiamo capito un cazzo in questo paese a forma di scarpa se li facciamo suonare solo una volta qui
Poca, troppo poca gente = come lasciarsi sfuggire occasioni….
Promozione dell’evento scarsa per la portata dell’evento = se ci si lamenta che in Italia non ci sono concerti è perché non si sa dove sono non che non ci sono.
Parto da Vicenza in treno in fretta e furia dopo lavoro pur di non mancare al concerto dei Fidlar, band da party dentro un campus californiano col bicchiere rosso di carta in mano pieno di ginlemon e ventenni con le tette al vento. Sapevo già alla partenza che non sarebbe stato il concerto dell’anno ma tutto quello che ho ascoltato mi coinvolge, mi attrae e mi riporta ai tempi dell’adolescenza dove si ascoltavano Nirvana e Green Day, Smashing Pumpkins e Derozer, Moravagine e Marlene Kuntz.
Sostanzialmente fanno punk i Fidlar e il concerto è l’essenza della stronzaggine, noncuranza, cafonaggine e bravate sul palco che ogni band punk dovrebbe fare. Tutto è come mi aspettavo: quattro ragazzini da LA sbronzi e “innocenti” che si ritrovano a suonare in giro per il mondo perché hanno attitudine da vendere e un buon numero di canzoni-quattro-accordi-e-via che suonano bene e ti restano in testa effetto chewing gum.
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Se non fosse per la batteria sempre precisa e pulita e le parti soliste di chitarra di Elvis Kuehn il livello tecnico della band lascerebbe a desiderare, loro due suonano decisamente bene ma, ad ogni modo, non puoi non amare una band il cui cantante dopo 30 secondi del primo pezzo in scaletta è già a pogare tra il pubblico chitarra in mano. Non puoi non adorare una band che si diverte da matti a suonare su un palco e che ogni canzone è suonata come fosse l’ultima volta.
Il Lo Fi di Milano, che ospita i quattro losangelini, è perfetto come location: stanzone post industriale, scarno, in periferia e lungo i binari del treno. Nessun fronzolo, quattro locandine di vecchi concerti attaccate alle pareti, quattro luci sul palco, sfondo nero dietro i musicisti. Perfetto. E’ proprio qui che voglio ascoltare i Fidlar. EF AI DI EL EI AR come scandisce più volte Zac Carper dal microfono (fino a quando le gambe permettono una corretta posizione, poi entra in gioco, o meglio arriva sopra il palco, una bottiglia di J&B….).
Pezzi come No Waves o West Coast A sono perfetti anche in live: quattro accordi, qualche armonizzazione di voce, batteria immediata ma potente.
Sono in veste istituzionale, devo scrivere, ma avrei sputtanato volentieri la mia debole e discutibile reputazione nel pogo selvaggio che ha accompagnato tutto il concerto. Come si faceva 15 anni fa. Mancano, e molto, band come i Fidlar in Italia: il gusto di suonare, il fregarsene di tutto e tutti intanto io mi diverto, avere una band non perché fa figo ma perché è un orgoglio poter esprimere qualcosa con uno strumento in mano. La differenza si vede subito appena salgono sul palco dopo Cane! e Wemen: nulla contro di loro, anzi, sono buone realtà che si stanno posizionando nel panorama musicale italiota ma la disparità è incolmabile tra “noi” e loro. Troppo ingessati noi, a volte troppo cazzoni loro… ma piace e tutti gli scoppiati sotto il palco (usato da me il termine ‘scoppiato’ è un complimento nb), tra i quali il sottoscritto, le cantano tutte o le urlano tutte. Sarà anche una delle band del momento (bah…) ma per fortuna l’accredito stampa mi è arrivato per i Fidlar e non per i Beach House il giorno dopo a Bologna….