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Reportage Live

A boy named Xavier: FANTASTIC NEGRITO in concerto a Milano

Articolo di Serena Lotti | Foto di Oriana Spadaro

Che la vita riservi sempre una seconda possibilità e’ quanto di meglio vorremmo sentirci dire dopo una caduta. Resta solo il sospetto che questo possa davvero accadere. E a volte quella seconda chance arriva. A volte si chiama fortuna, a volte si chiama congiunzione di astri, a volte si chiama opportunità guadagnata col sudore. A volte si chiama Fantastic Negrito.
La carriera di Xavier Dphrepaulezz aka Fantastic Negrito ha sbranato questa seconda occasione e l’ha sfruttata al massimo del suo potenziale.
Americano del Massachusetts, ottavo di 15 figli di famiglia religiosissima e rigorosa, trasferitosi in California a 12 anni è cresciuto ai margini, facendo il baro e il pusher, prima di conquistare il mondo con la sua black music for everyone. Prima ha imparato a sopravvivere dentro uno dei ghetti metropolitani più estremi della costa, musicalmente rappresentato da funkadelic, gangsta rap e ruvido blues e poi ha deciso di infilarsi illegalmente alla California Berkeley per studiare musica. Fantastic Negrito è uno che ha ingoiato vagonate di merda, prima di rimanere fulminato da Dirty Mind di Prince. E qui decide che la musica è la sua strada. Inizia così la carriera artistica di Mr Fantastic, staccatosi da terra grazie al dono divino di saper combinare più stili musicali in modo incredibile e a due palle quadrate, destinato a incidere il suo primo album con l’ex manager di Prince, The X Factor, nel 1996. Ma fu un flop. Nonostante i tour con The Fugees, Arrested Development e De la Soul, la sua musica non prese piede e il bluesman della bay area non ricevette il successo sperato.

Ecco che il destino gli aveva portato via la sua prima occasione. Ma non prima di scrivere per lui una pagina tragica: dopo un grave incidente d’auto resterà in coma settimane e durante la lunga permanenza in ospedale, la Interscope Records, con cui era sotto contratto, lo abbandonerà definitivamente.

Guarito dopo una lunghissima convalescenza, Xavier riprenderà la sua vecchia vita di spacciatore e ganster di strada finché nel 2014 deciderà di riappendersi la Gibson al collo andando a suonare sulle strade di quella Oakland dalla quale era partito tutto.

Ed è qui che Capitan Fantastic sfodererà quell’attitudine di bluesman di razza e proponitore sperimentale di una black music sporca e potente in grado di sorprendere Chris Cornell, tanto da volerlo negli opening del suo tour in Europa e Nord America, continuando questo solidazio anche con i  leggendari Temple of the Doge.

Convinto di essere dentro quella seconda possibilità con tutti i piedi e le scarpe, pubblicherà nel 2016  The Last Days Of Oakland, con cui il quale si aggiudicherà il Grammy for Best Contemporary Blues Album nel 2017, premio che bisserà nel 2019 con l’album Please Don’t Be Dead. Dopo avere già toccato l’Italia quest’inverno con due date andate velocemente sold out, Fantastic Negrito è tornato a Milano, al Circolo Magnolia, per la seconda delle quattro date italiane.
Difficile stabilire i confini della black music di Fantastic Negrito: un equilibrio perfetto di blues, r&b, musica roots, punk, hip hop, gospel, proposto con un saper fare musica live in modo incredibile e con una capacità di divorare letteralmente il palco che rende i suoi spettacoli un’esperienza autenticamente divina.

Xavier e soci sembrano usciti da un film di Spike Lee con un feat di Tarantino. Abiti ricercatissimi e di sicura ispirazione 70s: a stile non devono andare certo a ripetizione. Ma l’attenzione è tutta su di lui. Sul catalizzatore, sul moralizzatore, sul protest singer dalla personalità prorompente e affascinante.

Si parte con My Time In L.A., Bad Guy Necessity, A long long road e Scary Woman che fa subito quadretto punk acustico sporcato con un pò di grezzo blues, assente di cesure e respiri, ed è effetto bomba. Ma per chi ha già visto un live di Fantastic Negrito sa perfettamente che non si può che salire, ascendendo ad una dimensione ancora più alta e psichedelica. Le chitarre sono partite taglienti come colui che le suona, non c’è alcun dubbio.
Si prosegue con le sonorità soul e gospel di una splendida A Cold Novembre Street in cui respireremo i profumi neri più tradizionali e dove Xavier ricorderà la lezione dei canti di lavoro e l’odore dei raccolti, la fierezza del Delta Blues e dei canti strazianti degli schiavi, fin dentro le origini delle work song. Legata ad essa e senza soluzione di continuità vireremo sulla zeppeliniana Hump Thru The Winter tra variazioni funky e dinamiche groovy che renderanno il Magnolia un’onda molleggiante e carica di vibrazioni positive.
Grazie alle atmosfere calde e sensuali di A Boy Named Andrew verremo dolcemente tormentati da una melodia orientaleggiante e ammaliante e prenderemo quel pò di necessario respiro da un set musicale dirompente e carismatico prima di arrivare sulla ballata acustica di Dark Windows, un canto malinconico e commovente in cui si sentirà il degno insegnamento di Bill Withers e del pop beatlesiano, tra intenzioni ed escursioni psych-folk.
Un salto ancora dentro le dimensioni del soul più pastoso con l’appassionata A Letter To Fear per approdare infine sugli stacchi dinamici dell’hip-hop densi di sperimentazioni sonore dell’energica Transgender Biscuits.
Sullo stomp blues di lezione hendrixiana Lost In The Crowd, inno personale di Xavier carico di soul old school, Mr Fantastic e tutta la band fustigheranno a turno gli strumenti con sezioni di soli infiniti e deliranti, lasciandoci esterrefatti, rapiti, entusiasti grazie ad incastri ritmici incalzanti e perfetti.
Non mancheranno i tributi e le preghiere con In the Pines, che già i Nirvana proposero durante l’MTV Unplugged e che verrà dedicata all’amico scomparso Chris Cornell.

E il momento tanto atteso di Plastic Hamburgers e dei suoi riff catchy che ci entreranno nella testa per non lasciarci più, tra la potenza di una chitarra muscolare e forsennata e tutta la travolgente necessità di questo incredibile frontman di urlare il suo grido di battaglia contro le diseguaglianze e le contraddizioni della società americana. Finiamo così carichi a mille sulle note disperate della funkettona The duffler e sui suoi roboanti giri di chitarra in cui quell’inconfondibile falsetto alla Prince rimarrà una delle cose più calde e morbide che abbiano carezzato le nostre orecchie durante questa serata.

Andiamo in chiusura con Night Has Turned To Day e la spaziale Bullshit Anthem sulla giostra del funky e di un groovy pazzesco che ci faranno ondeggiare al ritmo di “Take that bullshit and turn it into good shit”. E così si chiuderà alla grande un live incredibile che ha assunto le dimensioni di un viaggio.
Un viaggio dentro le proprie origini nere per trasportare senza fatica una musica che resta contemporanea e necessaria, in grado di accogliere dinamiche nuove e prestarsi a scenari attuali, pur restando fedele alle sue intenzioni, tra inni esistenziali di speranza e riscatto e gli insegnamenti originari dentro i quali trovare la strada maestra.

Questo instancabile performer sul palco si è trasformato in un protest singer, in un agitatore culturale, in un motivatore, in un mattatore goliardico e sex symbol, passando da prodezze narrative lunghissime ed incazzose a languidi movimenti di bacino ed ammiccamenti sessuali, chiedendo soprattutto di essere ascoltato.
Ci ha sbattuto in faccia le sue battaglie, con ironia e con drammaticità, con phatos e con consapevolezza, raccontandoci di morte, razzismo, crimine e violenza armata ma facendolo con un piglio di ironia funky, sporca di punk, di blues grezzo, di rock disinibito, con chitarre luride e taglienti, con stacchi dinamici fortissimi e attraverso una schiettezza disarmante e dannatamente autentica. Ci siamo prestati a diffondere il suo messaggio di protesta diventando suoi strumenti: i ritmi organici del battito delle nostre mani che qui mutuavano un messaggio importante, per chi lo ha compreso. Un handclapping simbolico, il suono delle piantagioni quando l’uso delle percussioni era proibito e gli schiavi usavano le mani per dare ritmi e bassi alle loro nenie. Un bluesman incredibile che vive le mille vite di Prince, di Janis Joplin, dei Led Zeppelin, di Robert Johnson, di James Brown, di Muddy Waters, di B. B. King e che è in grado di offrirci autentica black music for everyone.

Una stratificazione di suoni diversi, tra il punk e l’r&b più acido, tra i lamenti gospel più struggenti e i ritmi tribali più atavici, attraverso gli stili di root che sono una lente con cui esaminare il presente e i suoni sludge di una chitarra ruvida ma accogliente, le molte voci di XavierDphrepaulezz possono diventare una cosa unica, un’arma per ogni causa, per ogni rivalsa, per ogni lotta di classe, per ogni ingiustizia. Il grido oppresso dell’America nera della controcultura: Fantastic Negrito è la risposta.

Clicca qui per vedere le foto di Fantastic Negrito a Milano (o sfoglia la fotogallery qui sotto).

FANTASTIC NEGRITO – La scaletta del concerto di Milano

My Time in L.A.
Bad Guy Necessity
A long long road
Scary Woman
A Cold November Street
Hump Through the Winter
An Honest Man
A Boy Named Andrew
Dark Windows
A letter to a fear
Transgender Biscuits
Lost in a Crowd
In the Pines
Plastic Hamburgers
The Duffler

Encore
Night Has Turned To Day
Bullshit Anthem

Written By

Milanese, soffro di disordini musicali e morbosità compulsiva verso qualsiasi forma artistica. Cerco insieme il contrasto e il suo opposto e sono attratta da tutto quello che ha in se follia e inquietudine. Incredibilmente entusiasta della vita, con quell’attitudine schizofrenica che mi contraddistingue, amo le persone, ascoltare storie e cercare la via verso l’infinito, ma senza esagerare. In fondo un grande uomo una volta ha detto “Ognuno ha l’infinito che si merita”.

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