Recensione di Emiliano Fassina
A distanza di tre lunghi anni, sono di nuovo a parlare del quartetto milanese The Singer is Dead, forti del loro nuovo lavoro in studio intitolato semplicemente “\\” (Due), composto da sei brani strumentali che amalgamano, alle atmosfere post-rock e math-rock, il cui sound di riferimento rimanda a Pelican, And So I Watch You From A Far, Caspian e compagnia bella, le sonorità e l’impatto dell’emo-core.
La prima traccia S T Q T, sicuramente tra le più riuscite e forse la più accomunabile all’album d’esordio dei The Singer is Dead, mette subito in chiaro che l’intento della band non è quello di stravolgere il precedente lavoro, bensì di radicarli nella loro forma mentis compositiva e nella perizia maniacale con cui i brani sono stati eseguiti. Azzeccata dunque, la scelta della tracklist, con il pezzo di apertura che sembra dire “Qui ci eravamo fermati e da qui ripartiamo”, e aggiungendo, brano dopo brano, elementi che denotano la loro maturazione come compositori e band. Fin dalle prime battute, inoltre, troviamo alcuni innesti di sintetizzatore e beat ritmici che donano ulteriori sfumature dimensionali all’opera. Un pensiero a riguardo: reputo sia stato intelligente da parte loro non voler strafare mantenendo questo elemento di novità su livelli decisamente marginali, ma è altrettanto vero che utilizzato in maniera così fievole, faccia sorgere il dubbio sulla sua effettiva necessità ed efficacia.
Alcune aperture e cambi di marcia risultano davvero ben riusciti; si ascolti ad esempio S T R G, il cui corpo centrale soprattutto, è un continuo e claustrofobico saliscendi di dinamiche, distorsioni e cambi repentini, senza però rendere frammentato o inconcludente il brano. Molto bene anche la successiva S C N V, con ritmiche mat(h)ematiche e sbilanciate che anticipano una cavalcata ascendente che porta a un riuscito climax d’impatto emotivo non indifferente.
Tutti i brani sono fluidi, non troppo ostentati e la loro durata non risulta mai eccessiva, comunque sempre entro i sette minuti (e per il genere, ci sta). Non ci sono tuttavia elementi particolarmente rivoluzionari o di spicco: questo può risultare pericoloso per la band, rischiando di affogare in modo anonimo nell’enorme calderone di band post-rock, post-metal, math-core, ecc ecc…
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Un elemento che a volte mi lascia perplesso riguarda il mix; spesso le chitarre sovrastano la sezione ritmica che dunque non riesce a dare sufficiente corpo e pancia ai pezzi, inoltre il basso non riesce ancora a trovare il suo legittimo posto nel sound complessivo della band. È vero che in questo genere musicale i muri di chitarre sono fondamentali, ma non avendo suoni eccessivamente estremi, a volte questa scelta tecnica non risulta efficace. Inoltre, alcuni suoni sono freddi, “digitali”, e sembra si sia voluta valorizzare eccessivamente la perizia chitarristica sia a livello di pulizia nei suoni, che nell’esecuzione a volte fin troppo perfetta. Un po’ di patina e lucidatura in meno anche a livello di mix e registrazione, credo, avrebbero dato quel ‘quid’ in più a un lavoro che nel suo insieme è positivo.
Decisamente un passo in avanti in questo nuovo lavoro della band milanese. Ciò che avevo notato nel bene è stato consolidato e pure migliorato, allo stesso tempo tuttavia, sono rimasti ancora alcuni dei dubbi che ho avuto ascoltando il loro primo EP. Su tutti, la sensazione che troppo spesso si tenda in modo marcato a valorizzare la tecnica facendone quasi un esercizio di stile, piuttosto che puntare all’impatto emotivo che le ragnatele di chitarre – soprattutto per questo genere – reputo, dovrebbero essere necessarie per arrivare al cuore dell’ascoltatore.
Ma tengo a precisare che questa è solo la sensazione che ho avuto io.
Ho ascoltato il disco più di qualche volta, constatando che è molto più convincente e maturo del primo lavoro e che promuovo con buoni voti, nonostante necessiti ancora di un po’ di lavoro. Insomma, non sarà qualche scelta tecnica a vietarmi di riascoltare “\\” nel corso dell’inverno che si avvicina.

